«Donaci la sapienza che viene dall’alto». Questa la richiesta che la comunità cristiana, radunata nel giorno del Signore per celebrare la Pasqua di Gesù, rivolge a Dio “sorgente della vita”.
Per l’apostolo Giacomo (cfr 2a lettura Gc 3,16-4,3) la “sapienza che viene dall’alto” rappresenta uno stile di vita (un modo di condurre l’esistenza) alternativo alla “sapienza terrena” caratterizzata dalla “gelosia e spirito di contesa”, che crea “disordine” e ispira “ogni sorta di cattive azioni”.
Giacomo offre due criteri per identificare la “sapienza che viene dall’alto”: la “mansuetudine” e la disponibilità al servizio.
La mansuetudine rappresenta la “mitezza” di cui parla Gesù nelle Beatitudini («Beati i miti perché avranno in eredità la terra», Mt 5,5) e che si contrappone all’aggressività, all’arroganza, di chi cerca in tutti i modi di far prevalere il proprio punto di vista, di realizzare i propri progetti, prevaricando sugli altri. Giacomo denuncia in modo impietoso i guasti prodotti da fanatismo aggressivo, dalla dittatura dell’arroganza («Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!»).
Sul terreno della mansuetudine crescono invece e fruttificano la “giustizia” (l’attenzione a quello che Dio vuole per il bene di tutte le persone) e la pace.
La “pace” rappresenta la piena realizzazione delle esigenze più autentiche delle persone, dei loro desideri più genuini, grazie alla rete di rapporti liberi da ogni aggressività. Anche la pace riceve l’apprezzamento da parte di Gesù («Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio», Mt 5,9).
Del secondo criterio, la disponibilità a servire, ce ne parla il vangelo (Mc 9,30-37). L’evangelista Marco racconta la “discussione” sorta sulla strada per Cafarnao tra i discepoli su chi “fra loro fosse il più grande”. La discussione provoca l’intervento di Gesù, che aveva nuovamente parlato della sua morte violenta («Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà»). Marco segnala la distanza dei discepoli dalle parole del Maestro («Essi però non capivano queste parole e avevano il timore d’interrogarlo»).
La strada suggerita da Gesù a chi “vuol essere il primo” capovolge la mentalità corrente sulla grandezza: il primo è l’ultimo e il servitore di tutti; è chi si prende a cuore gli altri, abbandonando ogni atteggiamento di arroganza, di prevaricazione. A sostegno della sua parola Gesù compie un’azione simbolica e di rottura con il costume del tempo, dove i bambini non godevano di un riconoscimento pubblico: pone un bambino in mezzo ai discepoli, lo abbraccia e s’identifica in esso («Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me»). Lui, il Maestro, accoglie con un gesto pieno di affetto un bambino e si lascia rappresentare da un bambino.
Le parole di Gesù e dell’apostolo Giacomo c’interpellano e ci sollecitano a verificare a quale sapienza facciamo riferimento nella nostra vita, a quale sapienza fanno si alimentano i nostri desideri e fanno riferimento i nostri progetti, le nostre scelte, le nostre relazioni.
La richiesta al Dio della vita della “sapienza che viene dall’alto”, oggi, la condividiamo in modo particolare con don Luca e don Emanuele che iniziano il loro ministero di parroco, don Luca nelle parrocchie di Mondolfo e Ponte Rio, don Emanuele nelle parrocchie di Marzocca e Montignano.
Chiediamo a Dio che a guidare il loro ministero siano le parole e lo stile di Gesù che identificano l’autentica “grandezza” nella promozione del bene degli altri, nella cura del loro bene, a servizio degli altri, soprattutto dei più “piccoli”, di quelli che sono messi da parte, che non contano; che siano le parole dell’apostolo Giacomo che invitano a lasciarsi ispirare dalla “sapienza che viene dall’alto”, perché siano tra “coloro che fanno opere di pace” e producono “un frutto di giustizia”.