XXXIII domenica Tempo Ordinario (15 novembre 2020)

Nella  preghiera della Colletta riconosciamo, anzitutto, un gesto di fiducia da parte di Dio Padre nei nostri confronti (“affidi alla mani dell’uomo tutti i beni della creazione e della grazia”), segue una duplice richiesta (“fa’ che la nostra buona volontà moltiplichi i frutti della tua provvidenza; rendici sempre operosi e vigilanti in attesa del tuo giorno”), infine la rivelazione di una speranza che portiamo nel cuore (“sentirci chiamati servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del tuo regno”).

Nella vita, quando percepiamo di godere la fiducia di qualcuno, ci sentiamo maggiormente motivati nella nostra azione e ancor più responsabili nei confronti di quanto ci viene affidato.

E’ quanto fanno la donna “forte” di cui parla il libro dei Proverbi nella prima lettura (Prv 31,10-13.19-20.30-31) e i due servi della parabola nel vangelo (Mt 25,14-30).

La donna forte e intraprendente crea relazioni buone, positive, con il proprio sposo (“Gli dà felicità, e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita”), di cui gode fiducia (“in lei confida il cuore del marito”); con il misero, il povero (“apre le sue palme al misero, stende la mano al povero”); con i suoi concittadini (“le sue opere la lodino alle porte della città”).

Il testo biblico ci rivela che all’origine dell’intraprendenza della donna non sta tanto la fiducia in se stessa, nelle proprie risorse femminili, ma in Dio (“illusorio il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare”).

Anche i due servi della parabola evangelica sono operosi: non perdono tempo nell’impiegare i talenti ricevuti (“Subito colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò ad impiegarli… Così anche quello che ne aveva ricevuti due”). L’esito positivo della loro azione è apprezzato dal padrone (“Bene, servo buono e fedele”).          Nell’apprezzamento del padrone emerge la ragione della loro operosità: la fiducia che hanno percepito da parte del loro padrone ha prevalso sul possibile sospetto di sfiducia alimentato dal “poco” che avevano ricevuto (“sei stato fedele nel poco”, riconosce il padrone a entrambi i servi) e ha disattivato l’eventuale timore di un’eventuale provocazione da parte del padrone (mettiamoli alla prova).

Il terzo servo, invece, non intraprende nessuna azione, se non quella di mettere al sicuro il talento ricevuto (“andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone”). Sarà lui stesso a spiegare le ragioni di questo comportamento: non ha avuto fiducia, ma paura del padrone («per paura…»), perché lo considera “un uomo duro” e prevaricatore (“mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”). Per questo ha rinunciato a ogni iniziativa («sono andato a nascondere il tuo talento sotterra»).

La reazione del padrone è dura nei toni (“Servo malvagio e pigro”) e nelle conseguenze (“Toglietegli il talento… gettatelo fuori nelle tenebre”).

I talenti che Dio ci affida sono “i beni della creazione (la natura con tutte le sue risorse, la vita con tutti i suoi beni e le possibilità di bene per noi e per gli altri) e della sua grazia (il suo amore fedele, garanzia sicura di un futuro promettente e solido fondamento per la nostra speranza)”. Il Signore attende che quanto ci ha affidato “moltiplichi i frutti della sua provvidenza”, “secondo la capacità di ciascuno di noi”, non sia sprecato.

La donna forte e intraprendente, i due servi operosi e solleciti nella loro azione, ci invitano ad agire con decisione e fiducia, a fare in modo che dei beni chi ci sono stati affidati anche altri possano beneficiarne (come è stato grazie all’azione della donna di cui ci ha parlato il libro dei Proverbi), che questi beni non li teniamo “nascosti”, bloccati dalla pigrizia che ci porta a essere solo dei consumatori e dalla che paura che ci induce a prestare esclusiva attenzione a noi stessi, alla nostra vita.

L’invito di papa Francesco nel messaggio per la IV giornata mondiale dei poveri (“Tendi la tua mano al povero” [cfr Sir 7,32]) a “non tenere le mani in tasca” ad abbandonare l’ indifferenza nei confronti di poveri, a tenere “lo sguardo rivolto al povero” ed agire con generosità, rappresenta una concreta indicazione per un buon investimento dei  “talenti” ricevuti da Dio Padre: «La generosità che sostiene il debole, consola l’afflitto, lenisce le sofferenze, restituisce dignità a chi ne è privato, è condizione di una vita pienamente umana. La scelta di dedicare attenzione ai poveri, ai loro tanti e diversi bisogni, non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati. Non si può soffocare la forza della grazia di Dio per la tendenza narcisistica di mettere sempre sé stessi al primo posto.

Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione. Non si tratta di spendere tante parole, ma piuttosto di impegnare concretamente la vita, mossi dalla carità divina».

Se cercheremo di agire così, non resterà delusa la nostra speranza di “sentirci chiamati dal Signore servi buoni e fedeli, e così entrare nella gioia del suo regno”.

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