XXV domenica Tempo Ordinario (20 settembre 2020)

La parola di Dio di questa domenica ci sorprende, perché chiede di rivedere la nostra immagine di Dio e del suo agire nella storia degli uomini.

Nella prima lettura il profeta Isaia (Is 55,6-9) dà voce a Dio, il quale ribadisce la grande distanza tra i suoi pensieri e i nostri, tra le sue vie e le nostre (“Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostra vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”), non perché, come spesso siamo portati a pensare, Lui è più grande di noi, è il nostro Creatore, è l’Onnipotente, ma perché “largamente perdona”. È la capacità di misericordia, la larga disponibilità  al perdono, che fa la differenza tra noi e Dio.

Anche la pagina del vangelo (Mt 20,1-16) ci sorprende. Gesù, per spiegare ai discepoli il “Regno dei cieli”, racconta “la parabola degli operai mandati nella vigna”.

La parabola narra di “un padrone di casa” che assume a più riprese operai per il lavoro nella sua vigna, fino a un’ora prima della conclusione della giornata lavorativa.

La sorpresa del racconto è rappresentata dal trattamento economico che il padrone riserva agli operai: quelli che hanno lavorato un’ora soltanto nella vigna ricevono lo stesso denaro pattuito con quelli che hanno lavorato per l’intera giornata.

Di fronte alle rimostranze degli operai che “hanno sopportato il peso della giornata e il caldo”, il padrone segnala, anzitutto, che non è venuto meno a quanto concordato con loro all’inizio del lavoro (“Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro?”), rivendica, poi, la libertà di disporre come meglio crede delle sue cose (“Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?”), pone, infine, una domanda imbarazzante che spiega il suo comportamento (“Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”).

La parabola presenta un tratto singolare di Dio Padre e del suo modo di agire; rivela che Dio non si rassegna a vedere qualcuno che resta fuori dalla sua vigna, che non sta con lui, estraneo al suo amore. Per questo esce dalla sua casa a ogni ora del giorno e invita tutti indistintamente a lavorare per lui, a stare con lui.

E’ un Dio, inoltre, che non regola il suo comportamento nei miei confronti sulla mia prestazione (Dio è buono con me perché e quando io sono buono), ma sul suo amore sconfinato, senza limiti e per tutti. Dio non mi vuole bene perché lo merito, Dio mi vuole bene e basta, come vuole bene a ogni uomo, sia a chi accoglie il dono fin dalla prima ora sia a chi lo accoglie solo all’ultima ora.

Penso che ci faccia piacere sapere che Dio ci ama così. Ci fa altrettanto piacere che Dio ami così anche quelle persone che possiamo catalogare, per tante ragioni, tra gli operai dell’ultima ora?

Qui probabilmente scopriamo di prendere le difese degli operai della prima ora, di non disapprovare del tutto, se non addirittura, di condividere le ragioni della loro protesta. Questi operai, invece di apprezzare la fortuna che avevano avuto, di poter guadagnare il salario di una giornata, si erano lamentati del fatto che anche altri avevano potuto godere della bontà del padrone.

La Colletta della Messa ci suggerisce come non cedere alla tentazione di fare il tifo per gli operai della prima ora: chiedere al Padre giusto (perché rispetta il patto con gli operai della prima ora) e grande (perché tratta gli operai dell’ultima ora come i primi) che ci aiuti a comprendere le parole di Gesù (“apri il nostro cuore all’intelligenza delle parole del tuo Figlio”), perché solo così potremo comprendere che lavorare nella vigna del Signore fin dal mattino (beneficiare da lungo tempo) è per noi un “impagabile onore”.

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