XXIII domenica Tempo Ordinario (10 settembre 2023)

«Non siate debitori di nulla a nessuno, se non di un amore vicendevole, perché chi ama l’altro ha adempiuto la legge» (Rm 13,8, dalla seconda lettura). I destinatari dell’esortazione dell’apostolo Paolo sono i cristiani della comunità di Roma, dei credenti quindi.

Per Paolo il dispositivo che regola i rapporti all’interno di una comunità di cristiani (la legge, i comandamenti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai») trova la sua compiuta espressione (“adempimento”) nella pratica dell’amore fraterno. La rilevanza che l’Apostolo assegna alla pratica dell’amore fraterno (“vicendevole”) giustifica l’esortazione introduttiva “non siate debitori di nulla a nessuno, se non di un amore vicendevole”.

Per Paolo io non devo nulla all’altro, se non la cura, l’attenzione suggerita dall’amore; l’amore vicendevole è il “debito” contratto tra le persone che si riconoscono discepoli di Gesù, si ritengono cristiane. Per Paolo, quindi, l’amore, in una comunità cristiana, non va considerato un “regalo” da condividere, ma un “debito” da estinguere.

E questo anche quando chi condivide con me la fede in Gesù (il mio fratello), “commette una colpa contro di me”, manifesta una qualche ostilità nei miei confronti. E’ Gesù a dichiararlo nel vangelo appena proclamato (Mt 18-15-20).

La situazione descritta dal brano evangelico rappresenta un banco di prova della fraternità, della sua capacità di risolvere i conflitti. Non entriamo nel merito della praticabilità nelle nostre comunità, oggi,  della “regola disciplinare”, che prescrive un comportamento a tre tappe da assumere nei confronti del fratello che “commette una colpa contro di me”; vogliamo cogliere soltanto l’atteggiamento da assumere: quando nella comunità un fratello si mostra ostile nei tuoi confronti: tenta  in  tutti i modi di ricuperarlo. Se ci riesci (“se ti ascolterà”), “avrai guadagnato il tuo fratello”.

L’espressione “guadagnare il fratello” è pregnante. Che cosa può significare questo “aver guadagnato” riferito al fratello?  Sei tu a guadagnare se riesci a ricuperare il fratello che, con il suo comportamento nei tuoi confronti, ha  compromesso la fraternità. Per questo bisogna mettere in atto ogni tentativo per ricostruire il rapporto fraterno con chi l’ha compromesso.

La soluzione indicata da Gesù impegna anche la comunità dei discepoli a prendersi a cuore la situazione di questo fratello, a fare ogni sforzo perché sia ricuperato. Se i tentativi messi atto falliscono, resta la preghiera concorde («Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà»).

L’autentica fraternità di fronte allo sbaglio di un fratello non imbocca la strada del giudizio stroncatore, senza appello né quella del pettegolezzo o dell’isolamento, ma di un paziente interessamento, animato dal desiderio di aiutarlo a riconoscere e superare il proprio sbaglio.

Questo interessamento è accompagnato dal Signore stesso, il quale non abbandona i suoi amici, ma resta “in mezzo a loro”, fa loro dono del suo amore che accoglie, si fa carico dell’altro e della sua fragilità; inoltre è apprezzato dal Padre, il quale, proprio perché non vuole che nessuno dei suoi figli vada perduto, accoglie volentieri le loro richieste (“gioisce nell’esaudire la preghiera concorde dei suoi figli”, come recita la preghiera della Colletta).

Siamo consapevoli che estinguere il debito dell’amore che ci fa “custodi attenti di ogni nostro fratello, nell’amore che è pienezza di tutta la legge” (cfr la Colletta) è impegnativo, soprattutto quando qualcuno si mostra ostile nei contri confronti, ci ferisce con il suo comportamento. Per questo abbiamo chiesto al Padre di “mettere in noi un cuore nuovo e uno spirito nuovo”.