XVIII domenica Tempo Ordinario (1 agosto 2021)

Nella preghiera della Colletta troviamo il riferimento al bisogno di pane (“O Dio, fa’ che non manchi il pane sulla mensa dei tuoi figli”) e al desiderio della parola di Dio (“risveglia in noi i desiderio della tua parola”).

Del bisogno del pane parla la prima lettura (cfr Es 16,2-4.12-15). Il popolo d’Israele, fuggito dalla schiavitù in Egitto e in cammino verso la terra della libertà, resta senza cibo nel deserto. La prospettiva che si presenta è la morte per fame. Da qui la violenta reazione del popolo che rimpiange il cibo della schiavitù (“quando eravamo seduti presso la pentola di carne, mangiando pane a sazietà!”) e insinua il sospetto di un complotto organizzato da Mosè con il fratello Aronne (“ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”).

Il desiderio della parola di Dio è quello che Gesù tenta di suscitare nella folla che lo stava cercando perché il giorno prima aveva soddisfatto il loro bisogno del pane (cfr Gv 6,24-35). Gesù smaschera l’ambiguità della loro ricerca (chiedono a Gesù un pane che “non dura”, che non è in grado di saziare pienamente la loro fame di vita), li invita a liberare la loro ricerca da questa ambiguità (a cercare un pane che “dura”, che non delude: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”); infine suggerisce di dare ascolto più a lui che al loro bisogno (“questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”).

Anche l’apostolo Paolo sollecita i cristiani di Efeso (cfr Ef 4,17.20-24) a continuare a “dare ascolto al Signore Gesù”. Lo fa rivolgendo loro un forte e autorevole richiamo («vi dico e vi scongiuro nel Signore Gesù: non comportatevi più come i pagani…». Gli Efesini erano stati pagani, ora non lo sono più perché «hanno imparato a conoscere Cristo», «sono stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare… l’uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni ingannevoli».

Nel richiamo di Paolo la vita pagana è caratterizzata dall’incapacità a comprendere ciò che dà veramente consistenza e senso all’esistenza (cfr i “vani pensieri”) e dall’inganno delle passioni che finiscono per corrompere la persone, per rovinarla e deluderla.

Il richiamo dell’Apostolo dice che il ritorno alla vita pagana è un rischio reale per i cristiani di Efeso, un rischio che può essere evitato se gli Efesini continuano a dare ascolto a Gesù, a lasciarsi istruire da lui.

Quello di Paolo è un richiamo che riguarda anche noi, perché anche noi corriamo il rischio di vivere da pagani, come persone che nei fatti danno più ascolto al proprio bisogno che a Gesù, non si lasciano istruire dalla verità che è lui, seguono altri e altro. Il rischio è alto perché alimentato da una cultura, da un modo d’interpretare la vita, largamente diffuso, che si mostra più desiderosa di “soddisfare il bisogno del pane”, più impegnata a procurarsi un cibo che non dura, che un cibo che resta, che non delude e che solo Gesù, colui che il Padre ha mandato, è in grado di offrire.

Per questo la richiesta rivolta al Padre di “risvegliare” in noi (ridare slancio, vivacità) il desiderio della sua parola (quella parola che è Gesù e che Gesù ci rivolge), resta una richiesta saggia e decisiva per noi che siamo “affamati” di vita.