XII domenica Tempo Ordinario (21 giugno 2020)

Certo che Dio ha accettato di correre un grande rischio nell’ “affidare alla nostra debolezza l’annuncio profetico della sua parola” (come abbiamo riconosciuto nella preghiera della Colletta).

Proseguendo nella preghiera abbiamo riconosciuto che la nostra debolezza emerge quando ci vergogniamo della nostra fede e quando viene meno la franchezza nel confessare il nome del Signore davanti agli uomini. Per questo abbiamo chiesto a Dio di “sostenerci con la forza del suo Spirito”.

Gesù nel vangelo (Mt 10,26-33) invita i suoi discepoli a “non avere paura degli uomini”. L’invito arriva dopo le sue parole preoccupanti riguardo alla violenta persecuzione che li avrebbe colpiti a motivo della fede in lui, da parte di tutti, perfino da parte dei propri familiari (cfr Mt 10,17-25). Gesù deve aver colto la paura nei suoi discepoli, per questo li incoraggia, li sollecita a non cedere ad essa.

Di che cosa non devono avere paura e perché non devono avere paura? I discepoli non devono avere paura di coloro che possono “uccidere il loro corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima”.

Il senso delle parole di Gesù: non abbiate paura di chi può portarvi via la vita (il corpo), ma non ciò che ha dato gusto, dignità e bellezza alla vostra vita (l’anima) e che per questo sarà riconosciuto da lui stesso davanti al Padre suo (“anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli”).

Gesù dice anche perché i discepoli non devono avere paura di fronte alla persecuzione. Lo dice ricorrendo, come faceva spesso, alla creazione, alla natura: Dio, il Padre che è nei cieli, riconosce ai discepoli di suo figlio un valore molto più grande di quello che hanno ai suoi occhi le altre creature (“voi valete più di molti passeri”).

Anche le considerazioni del profeta Geremia (Ger 20,10-13), che si trova a vivere una situazione drammatica (“Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta”) che “il Signore è al suo fianco come un prode valoroso” e che, per questo i suoi agguerriti persecutori “vacilleranno e non potranno prevalere”, offrono un motivo per non soccombere alla paura quando registriamo attorno a noi ostilità e rifiuto.

Le parole di Gesù nel vangelo non sono destinate solo ai cristiani, e sono ancora molti, che nel mondo subiscono persecuzioni violente per la loro fede, sono destinate anche a noi, che non subiamo la persecuzione violenta, ma assistiamo ormai da tempo all’emarginazione di Dio, del vangelo di Gesù e della fede dall’esistenza di tante persone.

Anche a noi Gesù rivolge l’invito a vigilare perché, se non ci viene tolta la vita (“ucciso il nostro corpo”), corriamo il rischio di perdere, di lasciarci portar via ciò che dà valore, gusto e bellezza alla vita, ciò che consente al nostro corpo di non diventare una specie di manichino, pur attraente, da esibire, che permette ai gesti del nostro corpo di non essere gesti vuoti, alle parole che pronunciamo di non essere parole prive di senso, alle comunicazioni dei nostri affetti, di essere all’altezza di quanto il nostro cuore desidera comunicare.

Quello di Gesù non è solo un invito a vigilare ma anche un invito a “riconoscere” e ad attestare, davanti agli uomini e alle donne con i quali condividiamo la vita di ogni giorno, che lui è il dono più prezioso che Dio ha fatto agli uomini e alle donne di ogni tempo.

Perché l’invito di Gesù non cada nel vuoto e anche noi ci lasciamo vincere dalla paura e cedere alla vergogna di essere suoi discepoli in questi tempi, continuiamo chiedere a Dio, il Padre del cielo, di “sostenerci con la forza del suo Spirito”.

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