Ancora una volta Gesù, per raccontarci il regno di Dio fa riferimento alla creazione. Nella prima parabola, quella del seme che cresce da solo, viene evidenziata la passività iniziale del contadino di fronte al seme, la cui maturazione procede indipendentemente da ogni intervento di chi l’ha affidato alla terra.
Nella passività del contadino riconosciamo anzitutto un tratto della nostra esperienza umana. La vita ci costringe spesso ad attendere il frutto di quanto abbiamo operato, del nostro lavoro, soprattutto di quanto abbiamo offerto, investito, di noi stessi, del nostro tempo, delle nostre risorse, nelle relazioni con altre persone (il mio sposo, la mia sposa, i figli, gli amici…). In questa attesa restiamo del tutto passivi, impossibilitati a intervenire; dobbiamo solo attendere, sperando che quanto abbiamo offerto porti i frutti sperati, frutti dei quali non sappiamo nulla in anticipo, li possiamo solo desiderare, attendere.
Anche nel cammino della fede sperimentiamo questa passività dell’attesa: la promessa di Gesù, la sua offerta – il regno di Dio, la signoria regale di Dio che si fa vicina per liberarci dal male che affligge la vita e la mortifica nel suo desiderio di pienezza – si compie secondo un percorso sul quale noi, come il contadino della parabola nei confronti del seme, non possiamo intervenire, ma solo attendere.
Va però rilevata una differenza rispetto alle tante attese che abitano la nostra esistenza. se queste a volte (o spesso) patiscono una delusione, quella riferita alla presenza liberatrice del regno di Dio, no, perché Dio non tradisce le attese dei suoi figli.
Nella seconda parabola, quella che racconta del “più piccolo di tutti i semi”, che diventa “il più grande di tutte le piante dell’orto”, viene evidenziata la sproporzione tra la condizione iniziale del granello di senape, che lo penalizza nei confronti degli altri semi e le ampie possibilità che il piccolissimo seme, una volta cresciuto, offre agli uccelli del cielo, costruirsi un casa (“possono fare il nido alla sua ombra”).
Ora il confronto risulta favorevole al “più piccolo di tutti i semi”, perché è diventato “più grande di tutte le piante dell’orto”.
Viviamo in tempi nei quali il Regno di Dio, la sua presenza nella vicenda di tante persone, la nostra stessa fede, assomigliano sempre di più al “più piccolo di tutti i semi” di cui ci parla la parabola di Gesù, una presenza che perde il confronto con altre presenze (pensiamo a quelle dei diversi strumenti della comunicazione sociale, dell’opinione corrente), perché risultano incapaci di influire sull’esistenza della gente, di dare a essa una forma diversa rispetto a quella rappresentata e sponsorizzata dalle agenzie della comunicazione, del costume.
Qualcuno parla di irrilevanza della fede, forte delle statistiche riguardo alla frequenza della Messa domenicale, al numero dei matrimoni celebrati con un sacramento, della non corrispondenza alle indicazioni della Chiesa nelle scelte che riguardano i settori più decisivi dell’esistenza, come quello delle relazioni affettive e sociali.
Il rilievo ci interpella personalmente e come comunità cristiana, ci chiede di verificare se il primo ambito in cui si registra l’irrilevanza della fede non è proprio la nostra personale esistenza e la nostra comunità. Ci interpella anche, e questo mi pare il messaggio specifico della parabola di Gesù, perché ci ricorda che il granello di senape del Regno di Dio, del suo amore, anche se appare ai nostri occhi e a quello di tanti altri, “il più piccolo di tutti”, incapace di porsi all’attenzione dei più, possiede potenzialità sorprendenti (cfr anche il testo di Ez 7,22-24, proposto come prima lettura della Messa) che lo accreditano come “albero” sui cui rami si può fissare la propria dimora, quando lo si mette in condizione di crescere.
E’ quanto abbiamo chiesto al Padre nella Colletta, che, cioè “il germe della verità e della giustizia, che Lui “a piene mani semina nel nostro cuore”, noi “lo accogliamo con umile fiducia e lo coltiviamo con pazienza evangelica”, sapendo “che c’è più amore e più giustizia ogni volta che la sua parola fruttifica nella nostra vita”.