VIII domenica Tempo Ordinario (27 febbraio 2022)

Ancora una volta il Signore nel comunicare con noi ricorre a quanto appartiene alla nostra vita (cfr la prima lettura, tratta dal libro del Siracide dove si fa riferimento ad alcuni mestieri e a quanto accade in natura) e a quanto accade nelle nostre relazioni (cfr le parole di Gesù nel vangelo). La scelta di Dio ci rassicura perché dice la sua considerazione per quanto succede nella nostra vita, anche quando ai suoi occhi non esprimiamo il meglio di noi, della nostra umanità.

Nel testo del Siracide (Sir 27,5-8) e in alcune istruzioni di Gesù nel vangelo (Lc 6,39-45) viene evocato il riferimento della parola e al cuore dell’uomo. Per il Siracide si dà uno stretto collegamento tra le parole che pronunciamo e quanto abita il nostro cuore: le nostre parole “parlano” di noi, non solo perché esprimono le nostre opinioni, ma anche perché “aprono” il nostro cuore (cioè noi stessi, il nostro mondo interiore sconosciuto agli altri) a chi ci ascolta. Da qui l’invito del Siracide a non essere precipitosi nel valutare una persona ancora prima che questa ci abbia rivolto la parola (“non lodare nessuno prima che abbia parlato, perché questa è la prova degli uomini”).

Gesù condivide il pensiero del saggio Siracide quando afferma che la bocca dell’uomo (la sua parola) “esprime ciò che ha nel cuore”. Nella sua comunicazione ai discepoli Gesù chiede conto di una pratica abituale nella nostra comunicazione (“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”). Con la sua domanda il Maestro fa rilevare la sproporzione tra quello che rimproveriamo agli altri (“la pagliuzza”) e quello che non ravvisiamo in noi stessi (“”la trave”). Per Gesù questa pratica ci qualifica come “ipocriti”, cioè come persone non trasparenti, dal comportamento contraddittorio (“Come puoi dire al tuo fratello: Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio?”).

Da medico competente, Gesù, dopo aver fatto la diagnosi, suggerisce la terapia efficace (“Togli prima la trave nel tuo occhio e allora ci vedrai ben per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”). L’invito di Gesù è puntuale: quando ti appresti a fare notare ad altri quanto va corretto nella loro esistenza, presta prima  e maggior attenzione a te stesso, ai tuoi comportamenti.

Nella preghiera della Colletta abbiamo riconosciuto che il legame tra le parole diciamo e il nostro cuore è problematico, perché non sempre espresso in modo virtuoso, positivo per le nostre comunicazioni. A rendere problematico il legame  è la “divisione” che noi stessi patiamo nel nostro cuore; una frattura che ci rende incapaci (“ciechi” direbbe Gesù nel vangelo) di riconoscere le cose come stanno, di uno sguardo non compromesso, non offuscato nei confronti degli altri e nei confronti di noi stessi, con l’inevitabile conseguenza, come ammattiamo nella preghiera stessa, di proferire “parole malvagie”, parole che feriscono le persone, corrompono le relazioni e non “parole di carità e di sapienza” che alimentano una ricca e serena comunicazione.

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