Veglia di Pasqua (11 aprile 2020)

In questa Veglia abbiamo dato tanto spazio all’ascolto della Parola di Dio, un ascolto che ci ha permesso di osservare Dio in azione, un’azione iniziata nella notte dei tempi e proseguita fino a noi “battezzati” in Cristo Gesù. Nel lungo racconto dell’azione di Dio che percorre la storia degli uomini riusciamo a scorgere il “filo rosso” che la caratterizza: Dio agisce non per promuovere se stesso, per affermare la propria potenza, per mortificare l’uomo, la sua vita, la sua libertà, ma per promuoverle, per rendere possibile la vita (come ci ha raccontato il brano della Genesi che presenta l’azione creatrice di Dio su una terra “informe e deserta”, indisponibile a ogni forma di vita, azione che rende la terra “abitabile” da molteplici creature, fino a quelle creature, l’uomo e la donna, volute da Dio a propria immagine e somiglianza); per riscattare gli uomini da una schiavitù imposta dai potenti di turno (come ha raccontato il  testo dell’Esodo con la liberazione d’Israele dalla schiavitù in Egitto); per impedire che l’alleanza con gli uomini, avviata con la creazione e proseguita con Abramo, non venga meno per l’inadempienza, l’infedeltà degli uomini (come hanno raccontato i testi di alcuni Profeti che documentano come Dio è impegnato a ricuperare il popolo d’Israele al suo amore, alla fiducia in lui, fino a intervenire sul suo cuore: “vi darò un cuore nuovo”).

Al culmine dell’azione di Diotroviamo la risurrezione di Gesù, il Figlio che Dio Padre aveva lasciato partire da sé perché gli uomini facessero ritorno alla casa del suo amore, ricuperassero la libertà dei figli.

Raccontando della risurrezione di Gesù, l’evangelista Matteo ci sorprende, perché, mentre  parla di un’azione clamorosa, spettacolare («Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve», 28,2-3), ci informa che testimoni di questa azione, sono due donne, Marida di Magdala e l’altra Maria, le persone meno accreditate per un racconto credibile di quanto era successo.

Maria di Magdala e l’altra Maria erano state le uniche del gruppo di donne che avevano “osservato da lontano” la morte di Gesù (cfr Mt 27,55 ), ad abbandonare per ultime il sepolcro di Gesù (cfr Mt 27,61) e sono le prime che “dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana vanno a visitare la tomba” di Gesù (cfr Mt 28,1).

Quella visita alla tomba dice che le due donne non consentono alla morte di portar via Gesù dal loro cuore, dal loro affetto, di chiudere per sempre una relazione di amicizia, di sequela. Proprio perché non si rassegnano alle perdita di Gesù, la loro visita al suo sepolcro, testimonianza di un amore certamente grande, ma anche della consapevolezza che d’ora in avanti Gesù potrà essere ricordato come si ricorda una persona morta, prende una direzione inaspettata: l’angelo che aveva tramortito di paura le guardie del sepolcro di Gesù, le informa che il morto che intendevano onorare non si trova più lì, nella tomba, non si trova più tra i morti, è risorto. Gesù non è più un morto da onorare con nostalgia e dolore, ma una persona viva da incontrare (cfr il mandato che le donne dovranno trasmettere ai “suoi fratelli”).

E prime a incontrarlo saranno proprio loro. Matteo racconta che «Gesù venne loro incontro» con parole incoraggianti («Salute a voi!»). In tutti i racconti pasquali è segnalata la stessa scena: è Gesù che va incontro ai discepoli con parole che sconfiggono la paura, restituiscono la speranza perduta, provocano gioia.

L’azione di Dio non si è arrestata alla risurrezione di Gesù, non si esaurisce con il ridare la pienezza della vita a suo Figlio, perché prosegue fino a noi, per realizzare anche in noi quanto compiuto con Gesù. E’ l’apostolo Paolo a segnalarlo nel testo della Lettera ai Romani: nel Battesimo, che ha segnato i primi giorni della nostra vita, noi siamo stati posti nella condizione di Gesù, la condizione di persone “viventi”, in grado di sottrarsi alla presa devastante del male. Anche se dobbiamo ancora fare i conti con la morte (e questi giorni lo sperimentiamo in modo drammatico), noi sappiamo che Gesù viene incontro a noi, non in un ricordo ammirato, affettuoso, comunque inconcludente, ma come colui che è vivo – il Vivente – e che ci rivolge parole che riaprono gli orizzonti di una speranza che va ben oltre gli orizzonti della terra che abitiamo e che pacificano il cuore.

Anche se in questi giorni l’incontro con Gesù Risorto non si realizza nel gesto pasquale dell’Eucaristia, questo non ci impedisce di incontrarlo nella preghiera personale e famigliare, nella apertura del cuore verso chi ci chiede tempo e parole per colmare la propria solitudine e risolvere i propri problemi.

Lasciamo risuonare nel cuore le parole dell’angelo che ci invita anche in questi giorni a non avere paura, ci ricorda, anche in questi giorni di lutto e di sofferenza che Gesù è risorto, è vivo e ci attende nei luoghi della nostra vita quotidiana, perché desidera incontrarci.

Il mio augurio di una buona Pasqua: che anche a noi come Maria di Magdala e l’altra Maria, capiti di riconoscere il Signore risorto, di sentirci rivolgere il suo saluto che sciolga le nostre paure, quando lo preghiamo, quando nelle nostra case ci diamo tempo per ascoltarci, per farci compagnia, quando acconsentiamo volentieri a chi ci chiede tempo e ascolto perché ha bisogno del nostro aiuto.