V domenica di Quaresima (21 marzo 2021)

La richiesta di “alcuni Greci” («Vogliamo vedere Gesù») trasmessa a Gesù da Andrea e Filippo, diventa l’occasione per Gesù di parlare di sé (cfr vangelo di Gv 12,20-33). Lo fa indicando due movimenti che vanno in direzioni opposte: il movimento del chicco di grano che “cade in terra” e il movimento dell’“essere innalzato da terra”. Entrambi i movimenti fanno riferimento alla morte di Gesù, una morte che, contrariamente a quello che accade con essa (quando si muore si resta soli, non si è più nella condizione di portare alcun frutto; inoltre non si attira più nessuno, non si incide più sulla vita di qualcuno), quella di Gesù “produce molto frutto” e “attira tutti a lui”.

Anche per Gesù morire non è stato facile. Lo dichiara anzitutto l’autore della Lettera agli Ebrei (5,7-9), quando parla di “preghiere e suppliche” rivolte da Gesù “nei giorni della sua vita terrena”, con “forti grida e lacrime” a Dio che “poteva salvarlo da morte” (come accade nel Getsemani, poche ore prima di morire). Gesù stesso parla del proprio turbamento nel vangelo, appena proclamato: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò al Padre? Padre, salvami da quest’ora?».

Gesù supera il turbamento che lo affligge con il “suo pieno abbandono al Padre” che lo porta a rispondere agli interrogativi precedenti: «Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!».

Proprio perché Gesù ha affrontato la morte, impostagli da altri con violenza, fidandosi del Padre, l’autore della Lettera agli Ebrei scrive che «divenne causa di salvezza eterna per tutti».

Gesù che muore è il chicco di grano che, “caduto in terra”, “produce molto frutto” e “attira tutti a sé”.

Non sappiamo per quale motivo alcuni Greci volevano vedere Gesù, cosa c’era dietro il loro desiderio (la curiosità verso un personaggio importante, l’interesse per le sue parole, i suoi gesti, l’intendimento di frequentarlo, di diventare suoi discepoli).

Il loro desiderio, la loro ricerca, comunque, c’interpellano, interrogano la qualità del nostro desiderio di vedere Gesù, della nostra ricerca.

Anche a noi che vogliono vederlo, conoscerlo, Gesù risponde parlando di sé, rinviando alla sua morte (il grano caduto in terra), di cui rivela il senso (glorificazione da parte del Padre) e il frutto (la salvezza degli uomini), indicando il percorso per chi lo vuole conoscere e seguire: «Se volete veramente conoscermi, guardate a me, lasciatevi attrarre a me quando sarò messo a morte, da me che ho deciso di non trattenere per me la vita che mi è stata donata, ma di offrirla in un gesto – la morte – che come il seme gettato nella terra, non rappresenta un fallimento, ma è portatrice di vita. Lasciatevi attrarre, cioè percorrete anche voi questo cammino, scegliete anche voi questo modo di “salvare la vita”».

Quello che appare paradossale nella morte in croce di Gesù, è che Gesù la vive come gesto di comunione, mentre i suoi nemici non compiono in alcun modo un gesto di comunione.

La vita riserva spesso situazioni che ci mettono in croce, situazioni che sembrano non avere senso, perché difficili, incomprensibili, perché feriscono, ci fanno star male. Il suggerimento che viene dalla croce di Gesù è che queste situazioni “senza senso” potrebbero ricevere un significato da noi, dal modo con cui le viviamo.

Le prove della vita che “patiamo” ci turbano e spesso le viviamo solo come situazioni di morte, situazioni che “non portano alcun frutto”.

Gesù non ha ceduto al turbamento che lo tormentava perché si è rivolto al Padre con una preghiera che, pur sofferta (“con forti grida e lacrime”), era piena di fiducia (“per il suo pieno abbandono”).

Nella preghiera della Colletta a Dio Padre, che “ha ascoltato il grido del suo Figlio”, abbiamo chiesto che le prove della vita, che ci fanno sentire “partecipi” della passione di Gesù, non restino una sofferenza senza frutto, ma abbiano la “fecondità del seme che muore”, come è stato per Gesù, suo Figlio.

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