SS. Trinità (7 giugno 2020)

La vita di ogni persona resta un mistero, qualcosa che non è immediatamente disponibile alla nostra conoscenza, ai nostri tentativi di comprenderla. Cessa di essere un mistero quando la persona si rivela, si fa conoscere. E ciò che rivela, fa conoscere una persona, prima e più che le sue parole, sono le sue azioni, i suoi gesti.

Se la vita di una persona è un mistero, ancora di più la vita di Dio appare un mistero impenetrabile a ogni tentativo di conoscerla, di svelarla. Anche la vita di Dio ha cessato di essere un mistero inaccessibile quando Dio si è rivelato, si è fatto conoscere.

Anche Dio si è mostrato parlando, ma soprattutto agendo, operando. E’ accaduto sul monte Sinai con Mosè (cfr la prima lettura Es 34,4b.6-8), quando Dio, rispondendo alla richiesta di Mosè di potere vedere (conoscere) il suo volto, parla di sé, dicendo chiaramente (“proclamando” recita il testo biblico) che Lui è «il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».

E Dio deve essere stato persuasivo nella sua  autopresentazione, se Mosè ha azzardato delle richieste. La prima: «Il Signore cammini in mezzo a noi». La richiesta appare un azzardo perché il popolo che Mosè rappresenta è “un popolo di dura cervice”.

La seconda richiesta appare ancora più impegnativa: «Perdona la nostra colpa e il nostro peccato» e, in un crescendo, «fa di noi la tua eredità (cioè: stima noi, consideraci come un bene prezioso, un bene che hai messo a parte per te).

Dio poi si è mostrato per quello che è – “misericordioso, ricco di amore e di fedeltà” – compiendo un gesto clamoroso, sorprendente. È Gesù stesso a parlarne, a Nicodemo in una notte trascorsa dai due a parlarsi: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

La misura dell’amore che Dio prova per il mondo (per quel “popolo di dura cervice”), che lo rivela, è data dal dono del Figlio unigenito, perché il mondo sia liberato (salvato) dalla deriva del male.

La misura della fedeltà di Dio al suo dono è data dal fatto, è sempre Gesù a dichiaralo, che Dio rinuncia alla condanna di chi non accoglie il Figlio unigenito.

Grazie a quello che Dio ha detto di sé a Mosè sul monte Sinai e al dono del Figlio unigenito, Gesù, Dio non resta più un mistero impenetrabile, inquietante, un mistero che gli uomini cercano in ogni modo di svelare, ma appare come una presenza amica, affidabile.

E’ quello che abbiamo attestato nella preghiera della Colletta, dove non abbiamo chiesto a Dio Padre di rivelarci finalmente il suo mistero, ma abbiamo riconosciuto che Lui non è più un mistero per noi, perché “ci ha donato il Figlio unigenito e lo Spirito Santo”.

Nella Colletta abbiamo fatto a Dio una richiesta importante: sostenere la nostra fede, quella fede che ci consente di accogliere Gesù, di riconoscerlo come dono del suo amore, perché anche noi beneficiamo della salvezza, della libertà dal male. Gli abbiamo chiesto inoltre di “ispirarci sentimenti di pace e di speranza”, di creare in noi quelle condizioni, quel sentire (ben più solido di una semplice emozione), proprio di chi sperimenta la pace di sentirsi amati e può contare su una speranza salda per vivere, perché siamo in grado di riconoscere con gratitudine (benedire) il suo nome glorioso e santo.

Anche in questo mondo e in questi giorni, resi amari da una pandemia che ci ha sorpresi, ci sta rubando la pace del cuore e minacciando la nostra speranza.

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