Seconda domenica di Avvento (4 dicembre 2016)

“Convertitevi” è l’invito perentorio di Giovanni, ripreso dal “fate frutti degni di conversione”. La conversione non è un’operazione generica, un’intenzione che non da’ seguito ad alcuna operazione, ma una decisione e un’azione che si nota per i frutti che la esprimono.

Quali frutti dicono di una conversione in atto? Matteo, dopo aver detto di Giovanni, segnala che molti accorrevano da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona vicina al Giordano e “confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano”.

Un frutto “degno di conversione” è la “confessione dei propri peccati”. La confessione dei propri peccati segnala la nostra conversione per due ragioni: la prima perché ci libera dalla tentazione di ridimensionare in nostri peccati, riducendoli a difetti da correggere, a manifestazioni di un temperamento da comprendere (“io sono fatto così e non ci posso fare niente, non cambierò mai”).

Il peccato prima di essere ciò che è male ai nostri occhi è ciò che è male agli occhi di Dio (“quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto”, riconosce il salmista); la seconda ragione perché ci conduce a fare verità su noi stessi: i nostri peccati non sono delle infrazioni, ma scelte di una libertà, inclinazioni di un cuore che ci allontanano da quel Dio che è nostro Creatore e Padre, da Colui che ci garantisce la vita e ci ama di una amore grande e fedele.

L’invito di Giovanni è perentorio, aspro, ma non immotivato, arbitrario, perché, legato a un fatto che ha per protagonista Dio stesso: il suo Regno si è fatto vicino a noi, cioè Lui stesso viene a visitarci, a prendersi cura di noi, a liberarci dal male che in tanti modi deprime la vita, la avvilisce. Per questo “convertitevi” non è solo una parola di comando, ma anche una parola di  rivelazione.

Se Dio viene a visitarci non è più tempo di esitare, di indugiare, di connivenze con ciò che ci tiene lontano da Lui, ma è anche il tempo dove il cambiamento è possibile, dove ciò che sembra irrisolvibile nella nostra vita, può essere risolto, dove quanto da tempo resta fuori posto può essere messo al suo posto, al posto giusto.

La conversione allora non è solo operazione nostra, impegno della nostra volontà, ma anche – anzi prima di tutto – azione della grazia in noi, obbedienza alla grazia, fiducia nel dono di Dio: «Possiamo convertirci soltanto perché Dio, per primo, si è rivolto a noi, donandoci il suo perdono e aprendo la via alla riconciliazione. La conversione è quindi azione di grazia; è il dono di poter ricominciare da capo. Conversione significa “aver il coraggio di vivere il dono di Dio”» (W. Kasper).

L’Avvento ci ricorda che il dono di Dio agli uomini, a ogni uomo, è Gesù, il Figlio amato; ci invita ad andare incontro con le buone opere a questo dono dall’alto, ad attenderlo con premura e desiderio. “Confessare i propri peccati”, potrebbe essere quella buona opera che si segnala come frutto di una conversione, che dice tutto il nostro desiderio ed esprime la decisione di non sciupare il dono grande che Dio Padre continua a riservare per i suoi figli.

Perché quest’opera buona non resti solo una delle buone intenzioni abbiamo chiesto al “Dio dei viventi” di “suscitare in noi il desiderio di una vera conversione”.

 

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