La liturgia della domenica delle Palme inizia con l’invito ad “accompagnare con fede e devozione il nostro Salvatore nella città santa” e a chiedere la grazia (il dono) di seguirlo fino alla croce per essere partecipi della sua risurrezione”.
E’ Gesù stesso che chiarisce il senso dell’invito e la portata della richiesta, quando rispondendo alla richiesta dei discepoli («Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa celebrare la Pasqua?»), precisa che intende celebrare la Pasqua, non da solo, ma con suoi discepoli («Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli»).
Perché Gesù vuole celebrare la Pasqua con i suoi discepoli? È quanto accadrà nella sala quell’ultima sera che spiega l’intenzione di Gesù (Luca parla di un desiderio grande, intenso: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi»).
Gesù desidera che i discepoli sappiamo che la sua morte, che gli sarà inflitta in modo violento con la complicità di uno di loro (cfr la richiesta di Giuda e la sua strategia per consegnare Gesù ai capi dei sacerdoti) e che Lui interpreta anticipatamente nel pane spezzato e nel calice del vino, è per loro, non solo per loro, ma per tutti. E’ per loro, per tutti, perché li ama, di un amore che ha portato Lui, il Figlio amato da Dio e nel quale Dio Padre si riconosce, a non considerare come “un privilegio (possesso esclusivo) l’essere come Dio” e a iniziare un cammino di “svuotamento di se stesso”, che lo ha condotto fino a una morte di croce, come ce ne ha parlato l’apostolo Paolo nella seconda lettura della celebrazione.
Gesù desidera non solo che i discepoli sappiano questo, ma anche che si lascino coinvolgere (“prendete, mangiate… bevete”), cioè si lascino raggiungere da questo amore perché la loro esistenza non sia più quella di chi se ne è andato dalla casa dell’amore del Padre e, lontano da quella casa, dilapida non solo l’eredità del Padre (il suo amore), ma perde anche la libertà.
Oggi i discepoli con i quali Gesù desidera celebrare la sua Pasqua, con quel desiderio grande, intenso di cui ci ha parlato l’evangelista Luca, siamo noi, ognuno di noi, con le nostre speranze, spesso indebolite, se non addirittura smentite dalle vicende della vita; siamo noi, colpiti e amareggiati dalle nostre fragilità, dalla nostra fatica a contrastare il male, che avvelena le relazioni, incoraggia la chiusura del cuore e che spesso ci trova suoi complici; siamo noi, sempre più impauriti dalla violenza che esplode ovunque, non solo nelle zone di guerra, ma anche nelle città, nelle case, una violenza che appare sempre più l’epilogo delle relazioni divenute difficili e dei confronti aspri tra le persone e che semina morte ovunque.
Acconsentiamo a Gesù di realizzare il suo desiderio di offrirci il suo amore, di rendere possibile nella nostra esistenza quella “vita in abbondanza”, di cui ci ha parlato lui stesso (cfr Gv 10,10) e per la quale Lui dal “seno” rassicurante del Padre (cfr Gv 1,18) è partito, per giungere fino a noi, che “stiamo nelle tenebre e nell’ombra di morte e dirigere i nostri passi nella via della pace” (cfr Lc 1,79), quella pace che ci consente di sperimentare, la “gioia del vangelo”, la gioia che come scrive Papa Francesco nella Evangelii Gaudium «riempie il cuore e la vita di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (n 1).
Mi pare una bella coincidenza che la riapertura della chiesa parrocchiale avvenga proprio alla vigilia della Settimana Santa, la Settimana nella quale celebreremo la Pasqua di Gesù, perché la chiesa parrocchiale è il luogo dove ogni domenica i discepoli di Gesù si raccolgono per celebrare la Pasqua, per incontrare Gesù, il Crocifisso-Risorto e, facendo questo, consentono a Gesù di realizzare il suo desiderio di offrire loro quell’amore suo e del Padre che rappresenta motivo di gioia, speranza e consolazione per la loro vita.