Senigallia, 21 settembre 2002
Comunicare il Vangelo con particolare attenzione ai giovani
“Comunicare il Vangelo è il compito fondamentale della Chiesa”, ricordano i Vescovi italiani nel documento sugli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio (CVMC, 36). La Chiesa esiste per questo: per evangelizzare, per comunicare il Vangelo. Il Vangelo evidentemente è destinato a tutti gli uomini: nessuno è escluso dalla chiamata alla salvezza. Ma nel concreto contesto in cui si trova a vivere la Chiesa italiana ed anche la nostra Chiesa senigalliese sembra necessario e urgente rivolgere un’attenzione particolare e prioritaria alle nuove generazioni.
1. Il contesto socio-religioso
In verità ci troviamo di fronte ad una nuova situazione, di cui dobbiamo prendere coscienza con realismo, senza farci prendere dall’angoscia o dallo scoraggiamento, ma con un supplemento di fiducia nella parola del Signore “Duc in altum!”, “prendi il largo” (Lc 5,4), ed una docile disponibilità ad effettuare una radicale conversione pastorale.
La nostra è una società culturalmente pluralista, nella quale il cristianesimo è solo una delle componenti, storicamente forte, ma oggi minoritaria e mescolata a proposte alternative. Il cristianesimo non si può più definire un fenomeno di massa. Certamente non mancano segni positivi. Un nuovo anelito alla santità sta percorrendo le nostre comunità e questo fatto ci apre il cuore alla speranza: come nel passato, sarà proprio la santità a generare lo slancio missionario. In diverse realtà parrocchiali e nelle antiche o nuove aggregazioni ecclesiali constatiamo con gioia l’impegno per testimoniare e trasmettere la fede. Ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte a situazioni che tutti conosciamo e che configurano ormai il nostro territorio come territorio di missione.
Un grande numero di ragazzi, dopo il sacramento della Cresima (alcuni anche prima), si allontana dalla pratica ecclesiale. Ironicamente la Cresima è chiamata il “sacramento dell’addio alla Chiesa”. Molti ragazzi si trovano a vivere in famiglie che non sono praticanti o che hanno una situazione irregolare. La grande massa dei giovani battezzati, pur mostrandosi in qualche modo sensibile ai valori del Vangelo, vive ai margini della Chiesa, è praticamente assente dalle assemblee domenicali e dalla pratica della vita religiosa.
E’ un dato ormai acquisito che la maggior parte dei ragazzi e dei giovani coinvolti nel processo di iniziazione cristiana considerano la Messa domenicale come un optional, una proposta cultuale di cui si può fare tranquillamente a meno. Paradossalmente il processo di iniziazione cristiana non “inizia”, ma “conclude”.
E’ necessario, anche se doloroso, riconoscere che ci troviamo di fronte a qualcosa che non è più adeguato nel nostro apparato di trasmissione della fede. Non si tratta di trovare i capri espiatori, ma di prendere consapevolezza che il cambio epocale mette radicalmente in discussione il nostro tipo tradizionale di pastorale.
2. Conversione pastorale
La Chiesa italiana del dopo-Concilio ha investito nell’impresa del rinnovamento della pastorale. Alcune scelte significative sono state compiute nel corso degli ultimi trent’anni: soprattutto alla catechesi sono state dedicate le migliori risorse; ci si è impegnati per il rinnovamento liturgico; si è sottolineata la comunità quale soggetto di evangelizzazione; è stata scelta la carità come segno qualificante della missione cristiana. Ma tutto questo non basta più. Con spassionata autocritica gli stessi Vescovi italiani dicono: “Non possiamo ritenerci soddisfatti” (CVMC, 44). Qualcosa non deve aver funzionato in quanto alla comunicazione della fede agli uomini del nostro tempo.
In realtà, per comunicare la fede l’annuncio del Vangelo non può essere sostituito dalla catechesi che è approfondimento della fede offerto ai convertiti. Non può essere sostituito nemmeno dalla liturgia, perché “prima che gli uomini possano accedere alla liturgia, è necessario che siano chiamati alla fede e si convertano” (SC, 6). Non può essere surrogato neanche dalle opere di carità: infatti il primato della carità nella tradizione cristiana riguarda la carità di Dio, non la nostra; ma questo significa riconoscere il primato della fede e quindi dell’annuncio del Vangelo.
San Paolo insegna che “la fede dipende dalla predicazione” (Rm 10,17). Il documento della CEI Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia addita nell’ascolto della Parola, la radice della fede biblica (CVMC, 13). La fede cristiana non è una fede qualunque, ma una fede di tipo biblico, una fede personale nel Dio di Gesù Cristo, che nasce dall’esperienza dell’ascolto della parola di Dio. La parola che genera la fede biblica non è una parola né didattica né parenetica. Non è cioè né catechesi né parenesi. Certamente contiene elementi sia di catechesi sia di parenesi, ma non si identifica con essi. La fede biblica nasce dall’annuncio, diciamo meglio dal primo annuncio o kerigma.
3. L’annuncio del kerigma
Tra le vie che si aprono davanti al nostro lavoro, e che propongo di mettere alla base del nostro programma pastorale per il prossimo anno e per il prossimo futuro, una delle più nuove e promettenti è il ricupero del primo annuncio o kerigma.
Non si tratta di abbandonare la catechesi o di accantonare l’etica cristiana (l’educazione alla vita morale): sono elementi indispensabili al cammino della vita cristiana. La catechesi e la morale mantengono tutta la loro importanza e insostituibilità, ma devono essere precedute e animate da quella conoscenza ed esperienza che può portare una persona a dire a Gesù Cristo: “Tu sei il Figlio di Dio” (Mc 3,11), “Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).
Il primo annuncio o kerigma si rivolge a tutti coloro che non conoscono Gesù Cristo, siano essi non battezzati o battezzati. Si rivolge dunque non solo ai non cristiani, ma anche ai lontani, ai non praticanti, ai cosiddetti ricomincianti. La sua finalità è quella della conversione e della fede.
Il primo annuncio è precisamente il nucleo essenziale, il centro, il cuore del Vangelo, da cui nasce tutto il resto. E’ quel messaggio sintetico assolutamente necessario perché si possa rispondere con una parola di fede. Il primo annuncio ci obbliga a ritornare all’origine, che come un codice genetico può orientare la crescita e lo sviluppo della vita cristiana in tutte le sue dimensioni.
Bisogna supporre di dover annunciare Gesù Cristo ad uno che praticamente non lo conosce: che cosa gli si dice? Qual è il contenuto o l’ambito del primo annuncio? E’ lo stesso che troviamo nella predicazione apostolica e cioè in quella grande testimonianza circa la vita e l’insegnamento, la passione, morte e risurrezione di Gesù.
L’annuncio in questione è il punto di forza, il punto qualificante, intorno al quale, come sua spina dorsale, tutto il processo dell’evangelizzazione si organizza. Il servizio di evangelizzazione ha certo nell’annuncio la sua struttura portante, ma consta in realtà di alcune fasi che sono:
1) la fase di preparazione all’annuncio, che potremmo chiamare fase dell’accoglienza e dell’iniziazione all’ascolto;
2) la fase dell’annuncio vero e proprio;
3) la fase della comprensione e dell’accompagnamento dell’annuncio, che la tradizione chiama catecumenato.
Purtroppo non disponiamo ancora di modelli o prototipi di annuncio adeguatamente collaudati da impiegare nella pastorale. Da parte mia desidero incoraggiare la sperimentazione in questo campo anche con l’aiuto dei nostri uffici pastorali diocesani, che già da quest’anno vengono ristrutturati e potenziati.
4. Pastorale giovanile
Come già accennato, è alle nuove generazioni che nel prossimo anno pastorale vogliamo rivolgere una particolare e prioritaria attenzione. Il Consiglio Pastorale Diocesano e il Servizio di Pastorale Giovanile hanno fornito dei validi contributi di riflessione e di proposta che danno corpo ad un “Piano di Pastorale Giovanile”. E’ un documento che tutte le realtà in cui si articola la nostra comunità diocesana sono chiamate a fare proprio: parrocchie, associazioni, movimenti e soprattutto gruppi giovanili.
Desidero qui sottolineare alcune linee di fondo e scelte concrete, a cui ci si vorrà attenere nella nostra azione pastorale.
* Anzitutto va maturata la convinzione che tutta la comunità cristiana deve farsi carico del problema dei giovani e quindi della trasmissione della fede alle nuove generazioni. La pastorale giovanile non è delegabile semplicemente ai sacerdoti giovani o ad alcuni generosi giovani del laicato: è una responsabilità che compete a tutti i componenti della comunità ecclesiale, ciascuno secondo il proprio ruolo e i propri doni. Anche gli adulti, siano essi sacerdoti o laici, sono chiamati ad accompagnare i giovani nell’incontro con il Signore Gesù.
* L’atteggiamento di fondo che si richiede da parte di tutti gli operatori pastorali – sacerdoti, religiosi/e, laici – è quello di un sincero amore per i ragazzi e i giovani. Si tratta di coltivare verso di essi una passione, una simpatia, una premura tali da rendere visibile lo stesso atteggiamento di amore di Gesù nei loro riguardi. In particolare si tratta di spendere tempo con loro, mostrando una grande disponibilità all’accoglienza, all’ascolto, al dialogo, all’accompagnamento. Occorre guardarli non come problema, ma come dono e risorsa, senza aver paura di far loro proposte esigenti, radicalmente evangeliche, anche vocazionali. E’ importante essere convinti che, malgrado le obiettive difficoltà, l’evangelizzazione dei ragazzi e dei giovani è possibile anche nel mondo di oggi. Parimenti è possibile aiutarli a fare scelte di vita secondo il Vangelo, dimostrando loro con le parole e con l’esempio che l’esistenza cristiana non è mortificante, ma arricchente, non è sottomissione schiavizzante ad una legge, ma apertura liberante dello spirito, non è tristezza dovuta alla rinuncia di qualcosa, ma gioia per la scoperta del Tesoro.
* La pastorale giovanile dovrà necessariamente prevedere percorsi differenziati, a seconda dell’età come pure dell’atteggiamento dei soggetti nei riguardi della fede in Cristo e dell’appartenenza alla Chiesa. La pastorale deve raggiungere tutti, ma nelle scelte da compiere si dovrà tener conto se ci si rivolge a credenti praticanti, oppure a credenti non praticanti, oppure a soggetti che non sono né credenti né praticanti.
* Per quanto riguarda la fascia di età dei ragazzi e degli adolescenti sembra necessaria una revisione dei contenuti e dei metodi della catechesi. Alla luce di quanto già accennato, bisognerà studiare i modi di integrare la catechesi con il primo annuncio o kerigma. Da parte sua la catechesi deve essere più esistenziale, cercando di integrare fede e vita, più biblica, incentrata nell’incontro con la persona di Gesù, unico salvatore dell’uomo. E’ questa un’esigenza che ci obbliga a riflettere, a confrontarci, a sperimentare nuove vie.
* Ai ragazzi che hanno ricevuto la Cresima è necessario fare una concreta proposta per non considerare chiusa l’iniziazione cristiana. Tra gli itinerari esistenti o nascenti, perché non proporre loro, almeno a quelli che sono disponibili (anche se fossero pochi), un cammino per arrivare a una professione di fede solenne da celebrarsi nell’eucaristia domenicale della comunità? Le parrocchie potrebbero prendere in seria considerazione questa proposta.
* Il gruppo resta uno degli strumenti privilegiati per aiutare i ragazzi e i giovani a vivere un intenso cammino di fede e a maturare il loro senso di appartenenza alla chiesa. Va dato un grande sostegno ai gruppi già esistenti, rispettando la loro specificità. Peraltro, si possono promuovere anche nuovi gruppi, tenendo conto, come punto di partenza, dell’amicizia e della dimensione (interparrocchiale, vicariale, diocesana). A livello diocesano è urgente ricostituire l’organismo di pastorale giovanile con il compito precipuo di coordinare le iniziative e di raccordare i singoli e specifici cammini nel cammino della Chiesa diocesana.
*La Chiesa è “casa di comunione”. E’ importante che i ragazzi e gli adolescenti trovino in Parrocchia un luogo di aggregazione, dove si sentano accolti, amati, valorizzati. Per questo motivo va ricuperato, anche se in forme rinnovate, l’Oratorio. Sembra ormai necessario convincersi che la Parrocchia deve vivere continuamente con due polmoni: la Chiesa e l’Oratorio. Come luogo non solo di ricreazione e di animazione, ma anche di esperienza bella e gioiosa della fede, bisognerà fare in modo che nell’Oratorio siano coinvolte le famiglie e i volontari per una condivisione della responsabilità educativa. In quanto ai giovani, peraltro, si potrà pensare ad appositi spazi (Casa della Gioventà, Sale della comunità…), anche a livello interparrocchiale, dove essi stessi si coinvolgono nella individuazione delle finalità e delle iniziative come pure nella gestione delle strutture.
5. Pastorale degli adulti
L’esigenza di un rinnovamento della pastorale per riportare in primo piano la dimensione dell’evangelizzazione vale non solo in riferimento ai giovani ma anche per il mondo degli adulti. In fondo è tutta la pastorale parrocchiale, la pastorale ordinaria, che necessita di una revisione delle scelte per rispondere alle sfide del nostro tempo.
Una buona regola di pastorale potrebbe, almeno in linea di principio, esprimersi così: “il vangelo a tutti, i sacramenti a chi crede”. Nella prassi della pastorale ordinaria troviamo spesso invertito l’ordine delle cose: diamo a tutti i sacramenti, il vangelo a qualche piccolo gruppo di credenti innamorati della parola di Dio…Di fronte a questa situazione non possiamo fare a meno di interrogarci e allo stesso tempo di cercare altre vie.
Missione popolare
Una via di evangelizzazione degli adulti è la Missione popolare che nella nostra Diocesi abbiamo intrapreso in occasione e a partire dall’Anno Giubilare. La Missione si articola, come sappiamo, nella visita alle famiglie e nei Centri di ascolto. Dopo l’entusiasmo, non disgiunto da trepidazione, della prima esperienza, con il passare del tempo si è registrato un affievolimento dell’impegno, dando spazio ad una certa stanchezza. Eppure, a ben riflettere, non si può negare la validità e l’importanza di questa scelta pastorale. I numerosi missionari laici che si sono resi disponibili come visitatori nelle famiglie e come animatori dei Centri di Ascolto si sono sentiti personalmente e direttamente coinvolti nella missione evangelizzatrice della Chiesa: hanno avuto il coraggio di esporsi per mettersi al servizio del Vangelo. Nei Centri di ascolto si è data la possibilità ai partecipanti di incontrarsi e stabilire relazioni con una motivazione religiosa; si è offerta l’opportunità di esprimere dubbi e interrogativi sui contenuti della fede; si è cercato di avvicinare la parrocchia e la vita ecclesiale alla gente; si è proposto ai membri del gruppo di incontrare la Persona di Gesù Cristo e di intraprendere un cammino alla scoperta del suo volto, del suo modo di pensare, della sua concezione del mondo e della vita.
Per questi motivi non possiamo ritenere conclusa l’esperienza della missione. Non importa se essa non raggiunge grandi folle. In se stessa rimane valida e perciò non esitiamo ad inserirla anche nel programma pastorale per il prossimo anno. Sarà questo il quarto anno della Missione, anno in cui ci si metterà in ascolto del Vangelo di Giovanni. Sono stati già preparati i materiali e cioè le schede per gli animatori: dal quarto Vangelo sono stati scelti sette personaggi che di fronte alla rivelazione di Gesù, da una situazione di incredulità o povertà interiore, sono arrivati alla fede. Si tratta di un concreto itinerario di fede che è possibile proporre in tutte le parrocchie.
b) Catecumenato
La richiesta dei sacramenti – il battesimo, la prima comunione, la cresima, il matrimonio – è spesso occasione nella quale molte persone si trovano nella condizione di interrogarsi sulla questione della loro fede. Si tratta di una preziosa opportunità per proporre a queste persone un itinerario di fede, basato sull’ascolto-annuncio del Vangelo. Peraltro dovremmo tutti essere consapevoli che l’evangelizzazione dei fanciulli non è possibile o comunque è destinata al fallimento senza l’evangelizzazione degli adulti e particolarmente dei genitori.
In questo contesto anche nella nostra Diocesi dovremmo considerare il catecumenato, cioè un itinerario di formazione cristiana che porti alla scoperta o riscoperta della fede e alla sua incarnazione nelle scelte concrete di vita, come parte integrante e ineludibile della pastorale ordinaria.
Si tratta da un lato di incoraggiare e valorizzare i cammini già esistenti e sperimentati, dall’altro di proporre nuovi e differenziati itinerari alla fede con l’accompagnamento di alcuni membri della comunità ecclesiale che sappiano testimoniare la bellezza dell’esistenza cristiana.
In particolare in tutte le parrocchie ci dovrebbe essere la proposta ai genitori dei figli che si preparano ai sacramenti dell’iniziazione cristiana di una sorta di catecumenato post-battesimale, scandito da una serie di incontri periodici e sistematici (con tappe, esperienze e verifiche) sul tema della fede.
La stessa scelta vale per i fidanzati. I Corsi di preparazione al matrimonio dovrebbero sempre più avvicinarsi ad una forma di catecumenato. Siamo ben consapevoli di quanto sia importante oggi aiutare la famiglia, specialmente i giovani sposi, a vivere la propria vocazione per realizzare una vera “comunità di vita e di amore”: se la famiglia si spacca, le ripercussioni sono gravi nella vita dei coniugi, dei figli e della stessa comunità. Perché non proporre anche alle giovani coppie di sposi di formare un gruppo per compiere un cammino di fede basato sull’ascolto del Vangelo?
Non tutte le parrocchie, specialmente quelle più piccole, potrebbero essere in grado di organizzare corsi di catecumenato per i genitori, per i fidanzati e per gli sposi. Non potrebbe essere questo un motivo che sollecita a fare un passo avanti nella costituzione delle Unità Pastorali, realizzando così una effettiva e concreta collaborazione tra parrocchie viciniori? Ad ogni modo sarebbe opportuno che almeno in ogni Vicaria ci fosse la proposta di appositi itinerari di fede.
6. Liturgia e carità
Se l’annuncio del Vangelo è il punto di partenza della vita cristiana, non si possono trascurare le altre dimensioni che sono coessenziali ed intimamente collegate ad esso. Parola di Dio, Liturgia e Carità costituiscono una triade indissolubile nella quale ciascun elemento rimanda agli altri due e trova negli altri due la propria giustificazione ed efficacia.
a) Liturgia
Per quanto riguarda la liturgia, il documento della CEI la indica come luogo privilegiato in cui viene trasmessa la parola di Dio (cf. CVMC 3, 32, 47-49): è il luogo dove la parola del Signore si fa evento, risuona nella storia, suscita la trasformazione del cuore dei credenti, costruisce la Chiesa-comunità.
Dobbiamo fare in modo che le nostre celebrazioni liturgiche siano insieme serie, semplici, belle, in una parola evangelizzanti, evitando la duplice tentazione del formalismo e dello spettacolarismo. Occorre una liturgia viva, che permetta veramente di incontrare il mistero dell’amore di Dio in Cristo e faccia allo stesso tempo gustare la gioia dei fratelli che si ritrovano insieme. Una liturgia dove non si fa teatro, ma dove tutti partecipano nella preghiera e nel canto.
* In aiuto alla liturgia è da incoraggiare la pratica della lectio divina, intesa come “continua e intima celebrazione dell’Alleanza con il Signore mediante un ascolto orante delle Sacre Scritture, capace di trasformare i nostri cuori e di iniziare ognuno di noi all’arte della preghiera e della comunione” (CVMC, 49). In parrocchia si potrebbe individuare il “giorno della Parola”, nel quale, magari sospendendo o riducendo altre attività, ci si mette in ascolto delle Scritture.
* Un’altra preziosa e formidabile occasione per l’annuncio del Vangelo è data dall’omelia. E’ questa una forma di predicazione che avviene in un contesto liturgico in occasione della celebrazione dell’Eucaristia, degli altri sacramenti e del divino officio. Per la sua stessa natura essa deve essere incentrata sui testi del sacro rito, particolarmente sulle letture della Sacra Scrittura.
Per la grande maggioranza dei cristiani che frequentano regolarmente la Messa domenicale l’omelia rappresenta l’unico momento di ascolto della parola di Dio. A maggior ragione questo vale per i lontani o non praticanti che a volte affollano la Chiesa in occasione di funerali o matrimoni: sono queste le rare, rarissime occasioni di contatto con la Chiesa e con il suo messaggio di salvezza. A nessuno è lecito sciupare un’occasione così preziosa e forse unica per annunciare la Buona Notizia della morte e risurrezione di Gesù per la nostra salvezza.
In quanto comunicazione e veicolo della parola di Dio, l’omelia non può trasformarsi in un messaggio puramente umano. Ad esempio, in occasione dei funerali, l’omelia non può essere scambiata con l’elogio funebre del defunto. Né l’omelia può essere ridotta a messaggio astratto, magari erudito, o semplicemente moralistico.
Data la sua importanza, l’omelia va preparata adeguatamente. Non può essere improvvisata; ma deve emergere dalla preghiera, dallo studio e possibilmente anche dalla condivisione con i laici.
Come parte integrante della liturgia della Parola, l’omelia non dovrebbe mancare mai; seppur breve e concisa, dovrebbe essere presente anche nei giorni feriali, specie nei tempi forti di Avvento e Quaresima.
b) Carità
Nell’impegno di trasmissione della fede è indispensabile l’esperienza della carità. Il linguaggio della carità è quello che oggi tutti comprendono. E’ importante che in ogni parrocchia ci sia la Caritas, come commissione con funzione pedagogica che sensibilizza la comunità ai bisogni del territorio e si configura come luogo concreto dove l’attenzione della comunità cristiana verso i poveri è manifestata.
La Caritas diocesana è impegnata per il prossimo anno, come per il passato, a dare priorità alla formazione dei volontari. Il volontariato in effetti è una grande risorsa per la testimonianza del Vangelo e va tenacemente promosso e incoraggiato, anche avvalendosi delle nuove disposizioni di legge per quanto riguarda il servizio civile maschile e femminile. Nel nostro territorio si incontrano oggi nuove e preoccupanti povertà – quali la prostituzione, la condizione degli immigrati, i minori in situazione di disagio – che richiedono l’attenzione di tutta la comunità cristiana e la collaborazione, là dove è possibile, con la comunità civile. Le iniziative e le opere-segno intraprese dalla Caritas diocesana – quali il Centro di Solidarietà con i suoi molteplici servizi, la Casa-famiglia, l’Anno di Volontariato Sociale – meritano il convinto sostegno di tutta la Chiesa locale.
Nell’ambito della carità c’è infine una dimensione che ha bisogno di essere riscoperta e valorizzata: si tratta dell’impegno politico e cioè dell’impegno per la costruzione della città dell’uomo. I cristiani non possono abdicare alla responsabilità di fronte al mondo. Oggigiorno questo tipo di impegno è particolarmente difficile e delicato; eppure è una forma di carità irrinunciabile, perché da esso dipende il bene comune e cioè l’insieme delle condizioni che permettono ai singoli e alla comunità di conseguire il loro pieno sviluppo.
7. Formazione
Il problema cruciale per attuare il presente programma pastorale come pure il programma che invito a compiere in ogni parrocchia per definire le priorità e i percorsi delle scelte, come si può ben comprendere, è quello della formazione degli operatori pastorali.
La Chiesa non può fare a meno della collaborazione e della corresponsabilità dei laici.Vi è un vitale bisogno di persone cristiane mature che avendo incontrato il Signore Gesù si mettono alla sua sequela e allo stesso tempo mettono a disposizione i loro doni per la trasmissione della fede e per la costruzione della comunità ecclesiale. Peraltro la comunità cristiana ha assolutamente bisogno di laici, uomini e donne, che siano non solo disponibili ma anche preparati a svolgere determinati servizi o ministeri ecclesiali.
Per la pastorale giovanile sono indispensabili animatori ed educatori che siano veramente formati. Lo stesso vale per i catechisti, per i missionari, per gli animatori della liturgia e della carità. Si presenta qui il fondamentale problema della formazione dei formatori e della formazione permanente.
A livello diocesano e di vicaria, oltre che parrocchiale, dovremmo dedicare le nostre migliori energie e risorse precisamente alla formazione.
Uno strumento di formazione particolarmente significativo e valido anche per il nostro tempo è l’Azione Cattolica: in sintonia con i Vescovi italiani auspico vivamente che sia presente in ogni parrocchia. Allo stesso tempo la nostra Chiesa locale accoglie e apprezza le altre aggregazioni ecclesiali che sono portatrici di particolari doni dello Spirito. A tutti i Gruppi, Movimenti e Associazioni chiedo un forte impegno nella formazione spirituale, teologica e pastorale dei propri aderenti.
Nella prospettiva della formazione faccio molto affidamento nel Corso diocesano di preparazione e formazione ai ministeri. Mi auguro che un buon numero di laici, dopo la prevista preparazione triennale, siano disponibili a svolgere quei servizi nell’ambito della Parola, della Liturgia e della Carità di cui la comunità cristiana ha urgente bisogno per la sua vita e la sua crescita. Voglio sperare in particolare che tra alcuni partecipanti al Corso il Signore ci conceda di discernere i segni della vocazione al diaconato per un servizio ecclesiale di stretta collaborazione con il ministero del Vescovo e dei Presbiteri.
Conclusione
Duc in altum!, “prendi il largo!”, sono le parole che Gesù ha rivolto a Pietro (Lc 5,4) . Prendi il largo! è l’invito che il Papa rinnova insistentemente a tutta a Chiesa: è questo l’invito più giusto anche alla nostra Chiesa senigalliese per attuare il programma che ci proponiamo per il prossimo anno.
Non ci spaventi la situazione, non ci scoraggi la fatica. Abbiamo un solo criterio per rinnovare la speranza: il Signore non abbandona la sua Chiesa, che è il suo corpo, ed è fedele alle sue promesse.
Di fronte alle difficoltà e a possibili insuccessi vogliamo dire con Pietro: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5).