Preghiera con i giovani (Venerdì Santo, 30 marzo 2018)

Ci sono situazioni nella vita nelle quali non si possono pronunciare parole vuote, di circostanza, né si può recitare una parte. Sono le situazioni della sofferenza, della prova. Quelle della sofferenza, della prova sono anche situazioni nelle quali corriamo il rischio di pronunciare parole dure, che feriscono e allontanano.

Abbiamo ascoltato e meditato le parole di Gesù in croce, così come ci sono state trasmesse dai vangeli. Gesù si trova a vivere la situazione più drammatica, più impegnativa, come uomo (pensiamo al carico di sofferenza fisica, all’amarezza di essere stato abbandonato dai discepoli, di essere deriso e insultato…) e come Figlio di Dio (pensiamo alla lontananza del Padre che sperimenta e patisce).

In questa situazione le parole pronunciate da Gesù sono parole che ridanno speranza ad altri (come la promessa fatta al malfattore che è in croce come Lui e che si affida a lui), che offrono l’opportunità di stabilire relazioni che sembrano  impossibili (come la richiesta al Padre di perdonare i suoi uccisori), che aprono orizzonti nuovi di vita (come la consegna a Maria, sua Madre, che sta perdendo un figlio, di un altro figlio [Giovanni] e in Giovanni di altri figli [noi], che confermano la fiducia in Dio (come la consegna che Gesù fa della propria vita al Padre).

A queste parole Gesù si è preparato con un’esistenza dove ha dato vita a relazioni ospitali, ha prestato attenzione alla sofferenza di tante persone, si è esercitato in un’obbedienza libera al Padre, perché sostenuta dalla fiducia.

Non limitiamoci ad ascoltare queste parole, lasciamole entrare nel cuore, perché anche noi, come Gesù, quando ci troveremo a vivere le situazioni che mettono alla prova la nostra esistenza, le facciamo nostre e le sappiamo pronunciare con la stessa verità e libertà di Gesù.

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