Quest’anno non sarà possibile incontrarci per celebrare insieme la “Messa crismale”, dove poter ridire al Signore la nostra gratitudine per il dono del ministero sacerdotale e rinnovare la nostra disponibilità al suo servizio nella nostra chiesa diocesana.
Il saluto dell’apostolo Paolo alla comunità di Corinto (cfr 1Cor 1,4.8) ci suggerisce le parole con le quali esprimere la nostra gratitudine, personale e come presbiterio, a Dio Padre, per «la grazia di Dio che ci è stata data in Cristo Gesù» (1Cor 1,4). La “grazia di Dio” donata dice che la nostra vita scorre nell’amore di Dio, dal suo inizio fino al suo compimento, un amore che provvede a noi con diversi doni. Tra questi, ed è proprio il giovedi santo a ricordarcelo, riconosciamo il dono del ministero sacerdotale. Ognuno di noi conosce la storia della propria vocazione e del proprio ministero. Spero che tutti abbiamo motivo per rendere grazie, anche dentro percorsi, passati o presenti, faticosi, impegnativi.
Faccio mie le parole di Paolo per esprimere la gratitudine a Dio, mia personale e della nostra chiesa diocesana, per il vostro ministero, per la dedizione con cui vi prendete cura delle persone, del loro cammino di fede. E’ ancora l’Apostolo a darci serenità quando scrive che Gesù Cristo «vi renderà saldi fino alla fine» (1Cor 1,8). Non solo la nostra vita, ma anche il nostro ministero “è custodito dal Signore”. Al Signore sta a cuore il nostro ministero, stiamo a cuore ciascuno di noi, sta a cuore il nostro presbiterio.
A garantirci su questa cura sono le stesse parole che Gesù ha rivolto ai discepoli l’ultima sera che ha trascorso con loro («Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi», Gv 15,16) e la preghiera (cfr Gv 17) con cui ha chiesto al Padre di custodire i suoi amici “nel suo nome”, di prendersi cura di loro perché sperimentassero in se stessi “la pienezza della sua gioia”. Nella preghiera di Gesù torna con insistenza la richiesta che i suoi discepoli “siano una sola cosa”, inistenza che ci fa comprendere come Gesù desidera la comunione tra i suoi amici.
Chiedo al Signore che anche noi possiamo avere la stessa cura gli uni per gli altri e apprezzare il nostro essere un presbiterio.
In questi giorni stiamo vivendo una situazione inedita e dolorosa, che limita molto il nostro ministero “attivo”. Si tratta di una limitazione che crea disagio e sofferenza, non solo in noi, ma anche tra le persone delle nostre comunità, alle prese con tanti “digiuni”, compreso quello eucaristico, che per diverse persone appare insostenibile.
Come affrontare, noi pastori, il nostro disagio, che pure è comprensibile? In questi giorni mi tornano alla mente le parole le P. Matteo Pettinari in una recente conversazione telefonica: «La missione è del Signore». In quelle parole ritrovo quanto l’apostolo Paolo scriveva ai cristiani di Corinto riguardo la ministero suo e di Apollo in quella comunità: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere» (1Cor 3,6). Le parole dell’Apostolo ci ricordano che decisiva per il cammino di fede della nostra gente, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti, degli anziani e delle famiglie, resta l’azione di Dio. Questa azione non si è interrotta con la sospensione delle forme abituali dell’azione pastorale, quali la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, la catechesi, la condivisione dell’ascolto della Parola di Dio, l’azione caritativa., l’incontro con le persone. Altri gesti, penso alla preghiera in famiglia, all’ascolto, personale e familiare, della parola di Dio, alla vicinanza solidale, anche se a distanza, alle persone sole e più bisognose di aiuto, consentono al Signore di continuare a “far crescere” la fede, l’amore. Non dimentichiamo poi che il Signore sa trovare, con la sua libertà creativa, i modi, a volte anche i più insoliti, di operare nella vita delle persone.
Prego il Signore che non venga meno la serenità nel nostro cuore e nel nostro ministero, anche se ci troviamo di fronte a tanta e dolorosa sofferenza, perché, consolati dal Signore, siamo in grado di consolare le persone che chiedono consolazione.
Chiedo al Signore di accompagnare il mio augurio di una “buona Pasqua”, per voi e per le vostre comunità, con il dono generoso della sua pace, che, quella “sera del primo giorno dopo il sabato” di tanti anni fa, ha ridato speranza agli apostoli “in lutto e in pianto”.
+ Franco, Vescovo
lettera-al-clero-per-il-Giovedì-Santo-2020