Omelia nell’Ordinazione Diaconale di Emanuele Piazzai (Cattedrale di Senigallia, 6 settembre 2015)

            Carissimo Emanuele, questa sera facciamo tutti “tifo” per te. A stringersi attorno a te con un sentimento di affetto, di vicinanza e di solidarietà ci sono i tuoi genitori che ti hanno trasmesso il dono della vita, tuo fratello, tua sorella, i tuoi parenti, i tuoi amici. Fanno tifo per te tanti giovani (specialmente quelli che hai incontrato nelle parrocchie dove hai svolto o svolgi il tuo servizio e quelli che hanno partecipato al pellegrinaggio diocesano dei giovani); ti fanno corona i compagni di Seminario insieme con i tuoi e vostri formatori (che ringrazio vivamente per il loro servizio); ti accolgono paternamente il tuo parroco e gli altri sacerdoti del presbiterio, solidarizzano con te i nostri diaconi permanenti; ti abbraccia il tuo vescovo che ti conosce da bambino e che è lieto di poterti ordinare diacono prima che si concluda il suo mandato.
Facciamo tifo per te. Però, a ben riflettere, dobbiamo fare tifo anzitutto e più ancora per il Signore. Perché in effetti il protagonista dell’evento che si compie qui questa sera non sei tu, ma il Signore Gesù. E’ Lui che attraverso l’imposizione delle mie mani e la preghiera consacratoria ti dona il Suo Spirito: lo Spirito Santo che già nel battesimo ti ha introdotto nella vita di Gesù e ora con l’ordinazione diaconale ti rende ancor più strettamente unito alla sua vita e partecipe della sua missione. La grazia dello Spirito Santo ti conforma a Gesù che si è fatto servo per amore, servo per la salvezza degli uomini.
Essere diacono, infatti, significa prima di tutto essere immagine, direi immagine pubblica, di Gesù, il Figlio di Dio, che non è venuto per essere servito ma per servire: si è presentato a noi come colui che si abbassa, si china per lavare i piedi degli apostoli. A questo arriva l’amore: quando si ama sul serio, ci si mette a servire.
Come si esplica il servizio del diacono? Sono soprattutto tre i compiti di questo ministero: il servizio del Vangelo, che consiste nella’proclamazione della Parola di Dio e nella predicazione; il servizio dell’altare, che consiste nell’assistere il Vescovo o i Sacerdoti nella celebrazione dell’Eucaristia e in altre azioni liturgiche; il servizio infine della carità, che rimane il servizio più caratteristico e proprio del diaconato, come avvenne quando gli apostoli consacrarono i primi diaconi nella Chiesa di Gerusalemme.
Anche tu, caro Emanuele, con il diaconato sei chiamato a vivere il servizio della carità come dimensione non unica ma centrale del tuo ministero. E il servizio della carità va esercitato condividendo la predilezione di Gesù verso i poveri. Questa scelta di Gesù per i poveri è inequivocabile: è una scelta già annunciata nel Vecchio Testamento come abbiamo sentito per bocca del profeta Isaia nella prima lettura (33,4-7) a cui ha fatto eco il Salmo responsoriale (145). Una scelta che viene testimoniata anche dal brano del Vangelo di oggi (Mc 7,31-37) che ci narra come Gesù abbia rivolto la sua attenzione amorevole a un sordomuto, uno dei tanti poveri, guarendolo dalla sua infermità e restituendogli la dignità di poter ascoltare e parlare, uscendo dall’isolamento comunicativo cui era costretto. Anche San Giacomo, nella seconda lettura, ricorda che questa è la scelta di Dio: “Dio ha scelto i poveri del mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno” (Gc 2,5).
I poveri, dunque, al centro del servizio della carità. Ma quali persone rientrano in questa categoria? I poveri sono gli ultimi, coloro che si trovano in una condizione di inferiorità, di sofferenza, di emarginazione a causa delle strutture economiche e sociali o a causa di debolezze o limiti personali.
L’esperienza missionaria che nelle scorse settimane hai fatto in Ecuador ti ha messo in contatto con la dura realtà di tanti poveri. Senz’altro è stata per te un’esperienza forte, non priva di qualche trepidazione; un’esperienza che certamente resterà impressa nel tuo cuore e ti aiuterà a capire il mondo dei poveri e ad essere vicino a loro.
Ma oltre ai poveri in senso materiale e sociale ci sono anche i poveri nell’anima perché non sono sostenuti dalla fede e dalla speranza in Dio Padre e Gesù. Anch’essi sono bisognosi di attenzione e di aiuto: anch’essi hanno diritto al Vangelo. Che cosa dire poi dei giovani? Anche loro, caro Emanuele, dovranno trovare un posto particolare nell’ambito del tuo servizio: per accompagnarli e sostenerli nelle loro difficoltà, nell’aiutarli a interrogarsi sul senso della vita, a discernere quale è la loro vocazione, a trovare il loro posto e il loro ruolo nella Chiesa e nella società.
In che modo potrai esercitare il ministero che oggi la Chiesa ti affida? E’ emblematico l’atteggiamento di Gesù verso il sordomuto. Toccandogli gli orecchi e la bocca, gli dice: effatà, che vuol dire “apriti”: apri le orecchie per ascoltare e apri la bocca per parlare. Ascoltare e parlare (annunciare) sono questi i contenuti del servizio che tutta la Chiesa, ogni cristiano, e a maggior ragione anche i diaconi sono chiamati a compiere.
Tra poco ti sarà consegnato il libro dei Vangeli, perché tu divenga annunciatore della Parola di Dio. Ma prima ancora di annunciare la Parola dovrai metterti in ascolto della medesima. Il Vangelo va meditato, va assimilato, va incarnato nella propria vita prima di comunicarlo agli altri.  Per questo è di primaria importanza la preghiera. Dovrai fare del tutto, caro Emanuele, per trovare nella tua giornata il tempo da dedicare alla lectio divina, alla meditazione prolungata e in particolare alla Liturgia delle Ore, che oggi ti viene ufficialmente affidata come preghiera della Chiesa e per la Chiesa. Solo ascoltando la Parola, la Parola vera, potrai passare all’annuncio, e cioè a dire e a fare quello che la stessa Parola suggerisce. In questo modo il tuo annuncio, fatto di parole e di gesti, sarà credibile e fecondo.
Caro Emanuele, in risposta all’amore grande e totale che il Signore ti manifesta, chiamandoti a condividere la sua vita e la sua missione, tu questa sera ti consacri a Lui attraverso il celibato, promettendo di amarlo con cuore indiviso per tutta la vita; tu dici il tuo “sì” alla chiamata del Signore e al progetto che la Chiesa ha su di te. Certo il celibato è una scelta coraggiosa che va controcorrente, ma non è una diminuzione della propria umanità né una scelta di comodo: è una scelta che si comprende solo nella logica di un grande amore. E’ significativa l’immagine che hai messo nel tuo ricordino: l’immagine di Giovanni che posa il capo sul petto di Gesù, come ad ascoltarne i battiti del cuore, è l’immagine dell’amore. Con il celibato ministeriale non si sceglie di non amare o amare di meno: si sceglie di amare di più.
“Coraggio, non temete”. Queste parole di Isaia che abbiamo ascoltato all’inizio della prima lettura (Is 35,4-7) sono rivolte anche a te. Non temere, non avere paura. Non ti nascondo le difficoltà che potrai incontrare nel ministero che stai abbracciando, ma devo dirti che ci sono anche consolazioni intime e profonde che conosce solo chi fino in fondo segue Gesù nel servire i fratelli. Ricorda che non sarai mai solo. Lo Spirito del Signore è con te. Noi tutti qui riuniti preghiamo per te perché tu possa essere fedele al “sì per sempre” che tra poco pronuncerai davanti all’assemblea; pregheremo perché tu possa avere un cuore grande, un cuore puro, che non si ripiega mai sulle prospettive piccole e banali ma abbia il respiro del cuore stesso di Gesù.
Allo stesso tempo vogliamo pregare per tutti i giovani e le giovani, ragazzi e ragazze, particolarmente per coloro che hanno partecipato al pellegrinaggio diocesano dei giovani, perché interrogandosi sul progetto che il Signore ha su ciascuno di loro, se si sentissero chiamati ad una vita di totale consacrazione a Dio e ai fratelli abbiano il coraggio di dire si alla bellezza di tale vocazione: sarebbe una grande gioia per loro stessi e per tutta la Chiesa.
Maria Santissima, colei che si è definita la serva del Signore e che canta in eterno le meraviglie compiute da Dio nel suo cuore, interceda per te, caro Emanuele, e per tutti noi. Così sia.