Omelia nella solennità del Patrono San Paolino da Nola (Cattedrale di Senigallia, 4 maggio 2011)

Senigallia, 4 maggio 2011

In questa occasione della festa del Patrono della nostra città e diocesi, San Paolino da Nola, la comunità cristiana di Senigallia e le Autorità cittadine si ritrovano unite attorno all’Altare del Signore per riflettere su quello che la Parola di Dio e lo stesso Patrono vogliono dirci per dare sostegno, speranza e salvezza al nostro popolo.

Il brano del Vangelo di Giovanni, che è stato or ora proclamato (Gv 10,11-18), ci presenta l’immagine molto bella, sempre forte e tenera, di Gesù buon Pastore. Il fascino irresistibile di questa figura del buon Pastore, meglio del ”Pastore bello” secondo il testo originale greco, sta nel fatto che egli fa fiorire la vita, si prende cura della vita, fa cantare la vita. E tutto questo avviene offrendo la propria vita: “io do la mia vita”. Dare la vita non significa per prima cosa morire, ma far vivere, seminare futuro, infrangere solitudini, dilatare recinti, dischiudere orizzonti, trasmettere luce, pace, gioia. Il buon pastore è disponibile a tutti, si preoccupa di tutti, è costruttore di comunione.

Così è stato San Paolino da Nola. Dopo essere passato attraverso diverse esperienze, sia in campo familiare, sia in campo politico e amministrativo, è divenuto pastore della Chiesa, prima come sacerdote e poi come Vescovo. Pastore ad imitazione di Gesù, il Pastore buono e bello. In questo ruolo si è completamente donato a quanti sono stati affidati alla sue cure: ha dato la sua vita perché avessero la vita. Ha difeso la sua comunità dalle invasioni barbariche, ha nutrito la sua comunità con la predicazione della Parola di Dio e con l’Eucaristia, ha avuto una predilezione per i poveri, ha costruito la comunione.

La vita e la missione del nostro Patrono come pastore rappresenta un grande richiamo per la nostra comunità cristiana e la nostra comunità civile, come pure per i pastori della nostra Chiesa locale e per gli amministratori pubblici della comunità civile.

Un primo insegnamento che ricaviamo da San Paolino è che nella comunità sia cristiana sia civile ci si deve occupare di tutti, bisogna prestare attenzione a tutti, ci si deve fare carico dei bisogni di tutti. Non ci si può limitare a particolari categorie, gruppi o portatori di specifici interessi. Non ci si può concentrare sui “nostri”, su quelli che sono vicini, sono “dentro” e dimenticarsi di chi è lontano, fuori. Non è sufficiente dire: “facciamo delle proposte, prendiamo delle iniziative e poi… chi ci sta, ci sta”. Il desiderio di raggiungere tutti e di perseguire il bene comune deve essere un obiettivo instancabile che anima ogni iniziativa, ogni programma, ogni attività. Si tratta di essere vicini alle persone, di ascoltarle, di conoscere i loro problemi, di condividere le loro ansie e le loro speranze. Si tratta di stabilire relazioni umane di amicizia e di solidarietà. Non c’è altra strada per avvicinare le persone alla Chiesa, i cittadini alle istituzioni.

Peraltro, pur avendo un’attenzione per tutti, San Paolino a imitazione del buon pastore ci insegna che bisogna avere un’attenzione privilegiata, preferenziale, per i più deboli e bisognosi, per gli ultimi. A prima vista potrebbe sembrare, questa, una scelta selettiva e discriminante: in realtà è una scelta che unisce, che non divide. San Paolino ha distribuito tutti i suoi beni ai poveri e verso di loro si è mostrato sempre accogliente e premuroso. Gesù stesso si è preso cura soprattutto dei più poveri, dei più emarginati e indifesi. Questo vale per la Chiesa, ma vale anche per la comunità locale nel suo insieme.
La festa del Patrono è per me occasione per invitare tutti, in particolare gli amministratori pubblici, a prendere coscienza di alcuni problemi che la nostra società senigalliese sta attraversando.

Mi riferisco anzitutto alla vulnerabilità e alla fragilità, con gravi ricadute relazionali, che diverse famiglie stanno sperimentando in seguito alla precarietà del lavoro causata dalla perdurante crisi economica. Non ci sono soltanto casi di povertà estreme, ma anche casi sempre più numerosi di famiglie che cadono in quella povertà di soglia che sta creando non poche difficoltà. Preoccupa la situazione di tanti giovani che non riescono a trovare un lavoro sicuro e un’abitazione a condizioni accessibili per progettare un futuro di famiglia e di vita.

Un problema molto sentito dalla nostra gente è poi quello della sanità. Tutti sappiamo quanto ciascuno tenga a conservarsi in buona salute il più lungo possibile. Di fronte alle voci circa eventuali tagli in questo importantissimo settore, desidero farmi voce accorata per quanti vivono in difficoltà perché si faccia tutto il possibile per assicurare quei servizi necessari a garantire a tutti e agevolmente un’assistenza degna della persona umana. In particolare vorrei rivolgere un appello perché siano abbreviati i tempi di prenotazione di esami clinici per evitare che i pazienti, soprattutto gli anziani, siano costretti a ricorrere con grandi sacrifici ai servizi a pagamento per la salvaguardia della salute.

Un’ulteriore questione che merita l’attenta considerazione da parte di tutti è quella dell’immigrazione. E’ chiaro per tutti che il volto di Senigallia e del territorio della nostra diocesi sta cambiando anche per la presenza di persone che ormai si avvicinano al 10 per cento della popolazione, persone che provengono da altri paesi, da altre culture e con altre convinzioni religiose. E’ comprensibile che questa diversità può suscitare sentimenti di incertezza, di apprensione, di paura. Dobbiamo conoscere le ragioni che spingono gli immigrati a venire nella nostra terra: lo fanno specialmente per sfuggire a situazioni di vita insostenibili sul piano economico o politico. Mi auguro che nella nostra città di Senigallia e nei paesi della nostra diocesi non si smarrisca il senso, il valore dell’accoglienza. Nel giusto stile di rispetto della persona umana – lo straniero, non dimentichiamolo, è sempre un fratello – dobbiamo coltivare il dialogo pacato e continuativo. Allo stesso tempo anche gli immigrati devono sentirsi impegnati a vivere i propri doveri di cittadinanza, nel rispetto dei nativi e della collettività.

Un ultimo problema su cui vorrei attirare l’attenzione di tutta la comunità e in particolare delle Istituzioni è quello dell’educazione delle nuove generazioni. Tanti episodi della vita quotidiana ci dicono che anche nel nostro territorio ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza educativa. Penso alla diffusione della droga, all’alcolismo, agli episodi di violenza, di trasgressione e di criminalità: si tratta di fatti che non sempre vengono alla ribalta della cronaca, ma sono pur presenti e in costante aumento. A questo riguardo auspico un’alleanza tra le varie istituzioni educative – in particolare la famiglia, la scuola, la parrocchia – con il sostegno dell’ente pubblico, perché tutti insieme ci facciamo carico di accompagnare le nuove generazioni nel discernimento dei veri valori per una realizzazione piena e felice della loro vita.

Che il Santo Patrono ci aiuti a guardare al futuro con maggiore speranza. Ci ottenga di camminare con fiducia e determinazione verso il grande orizzonte della comunione, a cui ci richiama pressantemente il Sinodo che stiamo celebrando. Ci aiuti tutti a sentirci responsabili, ciascuno per la sua parte, del bene comune, affinché la nostra comunità cristiana e civile sia una comunità bella, bella perché coesa e solidale.

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