Omelia nella Solennità del Patrono San Paolino da Nola (Cattedrale di Senigallia, 4 maggio 2007)

Senigallia, 4 maggio 2007

1. Il Vangelo attesta come Gesù consideri amici i suoi discepoli: “Voi siete miei amici…Vi ho chiamati amici…“ (Gv 15,14-15). Il motivo è che egli ha veramente amato i suoi. Allo stesso tempo egli chiede ai discepoli di amarsi tra loro allo stesso modo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”: si tratta dunque di amarsi come amici.
Effettivamente l’amicizia è un’esigenza imprescindibile e distintiva del Vangelo: rappresenta un fondamentale valore per la vita cristiana, personale e sociale.

2. Il nostro Santo patrono, Paolino da Nola, ha saputo incarnare in maniera particolarmente significativa il valore dell’amicizia. Nella sua ricca esperienza umana, sociale, politica ed ecclesiale egli è stato essenzialmente un uomo di relazione: ha saputo instaurare rapporti di amicizia con persone di ogni ceto. Tra i suoi amici, con i quali ha intrattenuto intensi rapporti di stima e di affetto, si annoverano poeti, letterati, vescovi, nobili, personaggi della politica. Non mancano però persone semplici, di umili condizioni, come i poveri e i pellegrini che accorrevano al Santuario-monastero che egli aveva fondato.
Questi rapporti di viva e intensa amicizia sono testimoniati dagli incontri personali e in particolare dalle numerose, bellissime lettere con le quali Paolino si teneva in corrispondenza con i suoi interlocutori. In una di queste lettere egli scrive che l’amicizia è “il più beatifico dono di Dio” (Epistulae, 11, 5 – CSEL 29, 64). Per Paolino, peraltro, l’amicizia non è solo sentimento, ma anche virtù, disposizione a condividere, ad aiutare l’altro e soprattutto a collaborare ad un fine comune.

3. Questa testimonianza e lezione di San Paolino è di grande attualità: ancor oggi ha da dire molto alla nostra chiesa e alla nostra città e alle altre città e paesi del nostro territorio, alla comunità ecclesiale e alla comunità civile e politica.

a) All’interno della Chiesa siamo tutti chiamati a instaurare e sviluppare rapporti di vera amicizia, rapporti personali, “faccia a faccia”, che tengano conto più della persona in quanto tale, che del ruolo o della funzione che essa svolge.
La Chiesa è una comunità che deve sempre più e meglio assomigliare ad una vera famiglia, dove si sperimenta la bellezza delle relazioni propriamente umane, dove i rapporti non sono né burocratici, né formali o “ingessati”; una famiglia dove ciascuno si sente accolto, considerato, amato.
In un tempo in cui, grazie alle conquiste tecnologiche, si sviluppa sempre più la “relazione virtuale”, per cui è possibile mettersi in relazione con gli altri senza guardarli in faccia (pensiamo ai telefoni cellulari, a Internet e così via), con la conseguenza paradossale che aumentano la solitudine e i casi di depressione, la comunità ecclesiale è chiamata a promuovere relazioni vere, in carne ed ossa, relazioni amicali. Questo vale per le parrocchie come pure per tutte le aggregazioni ecclesiali. “Voi siete miei amici”: ci si deve considerare amici, non indifferenti o concorrenti, tra parrocchiani, tra operatori pastorali, tra membri di gruppi, movimenti e associazioni ecclesiali.

b) Ma l’amicizia è un criterio che riguarda anche la costruzione della città dell’uomo, la polis. San Paolino insegna a non farsi coinvolgere nelle relazioni che compongono il tessuto della vita sociale e politica dalla logica di Caino/Abele – Amico/Nemico: per cui da una parte ci sono i buoni, dall’altra i cattivi; da una parte ci sono quelli della stessa fazione, corrente o categoria che sono gli amici e dall’altra quelli che in qualche modo sono “diversi”, e quindi avversari, nemici reali o potenziali. Deriva da questa logica una situazione di perenne conflittualità che a volte può assumere, come di fatto assume, toni esasperati, fino ad esplodere in forme violente, disumane, di intolleranza e di conflitto.
E’ possibile costruire la polis, la città dell’uomo, oltre che sui criteri della libertà e della giustizia, anche sul criterio dell’amicizia?
Si sente dire che il secolo 19° ha voluto essere il secolo della libertà: in effetti è stato quello della grande ingiustizia. Il 20° secolo ha voluto essere il secolo dell’uguaglianza, ma è stato quello del totalitarismo. La libertà e l’uguaglianza, come diceva Bergson, sono delle “sorelle nemiche”, che possono riconciliarsi solo nella fraternità. Il 21° secolo potrebbe, dovrebbe essere, se lo vogliamo, il secolo della fraternità.
Nell’antichità sia Platone che Aristotele, sia Cicerone che Seneca concepivano la polis o res publica come l’insieme di tutti i cittadini che collaboravano alla realizzazione del bene comune, e che consideravano questa collaborazione la forma più importante di amicizia, l’amicizia politica, civica.
Perché allora non restituire all’amicizia il suo posto anche nel mondo odierno della politica? Perché non auspicare che tutti gli amministratori pubblici, tutte le persone impegnate in politica, sviluppino tra loro rapporti di amicizia, non considerandosi, pur nella diversità di opinioni e di progetti, avversari o nemici, ma collaboratori per il bene comune?
Costruire la città a misura d’uomo, congiungendo la libertà e l’uguaglianza con il collante dell’amicizia: sarà questo solo un sogno, un sogno bello ma irrealizzabile?
San Paolino ci dimostra che vivere l’amicizia è possibile, sia nella Chiesa, sia nella comunità civile e politica. Che egli, nostro patrono, interceda per tutti noi. Così sia.

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