Notte di Natale 2019

Questa notte venendo in Cattedrale abbiamo attraversato una piazza illuminata non dai soliti lampioni, ma da tante piccole luci che hanno creato una specie di cielo artificiale, trapuntato di stelle. La disposizione delle piccole luci ha catturato in questi giorni l’attenzione di molte persone, che a differenza delle altre sere non hanno attraversato la piazza in fretta, ma si sono fermate, hanno alzato lo sguardo verso questo inedito cielo che ha loro restituito stupore e pure una certa serenità.

Anche nell’Eucaristia che stiamo celebrando si fa riferimento alla luce: dall’antifona d’ingresso alla benedizione finale per ben 8 volte si parla della luce. Il riferimento non è fine a se stesso, ma in collegamento con la nascita di Gesù: la nascita di Gesù, il Figlio di Dio, illumina l’intera storia dell’umanità, la vita delle persone.

Nel testo del profeta Isaia (9,1-6), proclamato nella prima lettura, è “il popolo che camminava nelle tenebre” a essere illuminato da una grande luce. Il profeta parla di una gioia “moltiplicata”, di una letizia ancora più grande, perché “un bambino è nato per noi”, un bambino che, nonostante la propria fragilità, è “consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, principe della pace” e che esercita la propria potenza, non per prevaricare né per umiliare, ma per “rafforzare il diritto e la giustizia, ora e sempre”.

L’apostolo Paolo nella lettera a Tito (2,11-14) sembra voler proseguire la presentazione, avviata dal profeta Isaia, di questo bambino che è nato, rivelando anzitutto cosa rappresenta questo bambino (la grazia di Dio che si rende visibile, che appare) e il benefico impatto che ha sulla nostra vita e sulla storia degli uomini.

Nello scritto di S. Paolo il beneficio portato dalla nascita di Gesù è presentato in un crescendo: ci insegna a prendere le distanze (“rinnegare”) dall’iniquità che ferisce la vita nostra e degli altri, dai desideri che non vanno oltre il limitato orizzonte della terra (“mondani”) e che per questo non sono in grado di garantire quella vita piena che il nostro cuore inquieto desidera e cerca.

Il Figlio di Dio con la sua nascita c’insegna anche a “vivere in questo mondo” come persone ricche di una speranza forte, che autorizza, sostiene, l’attesa della nuova venuta di quel Gesù che ha dato se stesso per “riscattarci da ogni iniquità”, di un nuovo e decisivo incontro con Lui, l’unico bene in grado di non deludere il nostro cuore, il  nostro desiderio di una vita compiuta.

Nel Vangelo (Lc 2,1-14) l’angelo invita i pastori a non temere perché ha una grande gioia da annunciare, legata alla nascita di un bambino, che è il Salvatore a lungo atteso. La reazione di pastori alla notizia è sorprendente. Queste persone che, per la vita che conducevano, avevano poche occasioni per gioire, che non erano inclini ad accogliere annunci di quel genere, vanno a vedere, “senza indugio”, quel bambino nato in un luogo dove venivano alla luce i piccoli dei loro greggi, perché nelle case di Betlemme non c’era posto.

Anche a noi, pastori della nostra vita e della vita delle persone che ci sono care, questa notte sono rivolte le parole dell’angelo: «Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore».

Che cosa temiamo, che cosa ci mette paura in questo momento della nostra vita, quella paura che offusca o addirittura spegne la speranza? Le parole dell’angelo ci riguardano personalmente, proprio nelle nostre paure, perché parlano di un bambino, uno dei miliardi di bambini nati, che è il Salvatore della nostra vita, perché le riconsegna la speranza che il male non ha l’ultima parola su di noi e sulla nostra esistenza.

Cosa vogliamo fare di fronte a questo annuncio che anche quest’anno, da oltre 2000 anni viene ripetuto? I pastori con la loro decisione di andare a vedere quel bambino di cui aveva parlato l’angelo e con la loro gioia dopo averlo visto e riconosciuto, ci sollecitano a non restare fermi, bloccati nelle nostre paure, nel nostro scetticismo, nel nostro limitato orizzonte, ma ad andare da Gesù, a riconoscerlo come l’Emmanuele, il Dio con noi, datore di una speranza che non delude. C’invitano ad andare da lui, non solo in questi giorni di festa, ma in ogni altro giorno, perché Gesù può insegnarci a rinegare l’iniquità che ferisce la vita nostra e degli altri.

L’augurio che rivolgo a voi e alle persone che vi sono care: che anche voi, come i pastori, vi fidiate delle parole dell’angelo, che anche voi, come i pastori, possiate godere di quella gioia donata dal Signore a chi lo cerca e lo accoglie e che anche voi, come i pastori, raccontiate ad altri con la vostra vita che Gesù è il Salvatore. 

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