Messa per l’incontro diocesano delle famiglie a Corinaldo (Sabato 14 Luglio 2018)

Nelle istruzioni di Gesù ai discepoli inviati nei villaggi vicini (cfr Mc 6,7-13), la prescrizione riguardo a quello che i missionari devono portare con sé fa riferimento a ciò che serve a camminare, a uscire (come il bastone, i sandali) e non a ciò che riguarda al restare fermi, in un luogo (come il pane, la sacca, il denaro, due tuniche).

La scelta di Gesù, poi,  di mandare i discepoli a due a due suscita una domanda: perché “a due a due”?

Una prima risposta proviene dalla normativa giuridica ebraica: ai tempi di Gesù una testimonianza era riconosciuta attendibile solo se confermata almeno da due persone.

Dietro questa indicazione c’è però una motivazione più profonda: i discepoli vanno due a due perché possono annunciare il vangelo del Regno solo come fratelli che camminano insieme. Gesù espliciterà questa motivazione più avanti, nell’ultima sera trascorsa con gli stessi discepoli, quando, dopo averli esortati ad amarsi gli uni gli altri, concluderà che «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Gesù “toglie” tutto (senza denaro, senza sacca, senza pane), perché i discepoli imparino ad affidarsi ai fratelli con i quali condividono la testimonianza del Regno.

L’evangelista Marco racconta che i Dodici, «partiti, proclamarono che la gente si convertisse» (6,12), sollecitavano le persone a rendersi disponibili ad accogliere quanto loro annunciavano su mandato di Gesù: il Regno di Dio, cioè Dio che si avvicina agli uomini per liberarli dall’aggressione del male. Sempre Marco annota che «scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano» (6,13)

La parola di Gesù oggi è rivolta a noi. Gesù ci invita ad essere testimoni di questa presenza benefica di Dio nella storia degli uomini.

  1. Paolo, nella seconda Lettura proposta dalla liturgia (Ef 1,3-14) ci consente di comprendere ancora meglio l’azione di Dio Padre a favore degli uomini. L’Apostolo parla di un disegno buono sull’umanità, su ciascun uomo e donna, su ciascuno di noi.

L’ideatore di questo disegno è lo stesso Dio Padre, un disegno che prevede che ogni persona che viene al mondo sia amata, apprezzata da Lui, come lo è Gesù, il “Figlio amato”.

L’attuatore di questo disegno è Gesù stesso, il quale mette in gioco la propria vita (“mediante il suo sangue”), perché il desiderio del Padre si compia e noi non opponiamo alcun ostacolo a questo desiderio di Dio.

Convertirsi al disegno/desiderio di Dio comporta riconoscerlo come l’orizzonte di senso, di verità della nostra esistenza; significa riconoscere che il nostro desiderio di costruire un’esistenza che valga la pena di essere vissuta trova nel desiderio di Dio Padre una risposta che non delude; comporta l’impegno a lasciarsi guidare da questo disegno, e non da altri disegni, nel costruire la nostra esistenza.

Gesù impegna ciascuno di noi a portare questa “buona notizia”.

Come una famiglia può offrire questa testimonianza?

La relazione sponsale rappresenta una adeguata interpretazione di quel “due a due” di cui si parla nel vangelo. Uno sposo per la sposa e questa per lo sposo garantiscono molto di più di due tuniche, di un pane e del denaro.

In una famiglia inoltre si verificano le condizioni per comprendere cosa significa essere amati e apprezzati come figli; riceviamo quell’amore che ci consente di riconoscere in Dio il volto di un Padre che si prende cura di noi, impariamo a fidarci delle persone, di Dio stesso, cresciamo come persone capaci di relazioni gratuite e serene.

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