Nella preghiera che ha preceduto l’ascolto della parola di Dio abbiamo chiesto al Padre che lo Spirito Santo “ci aiuti a credere con il cuore e confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla”.
La richiesta ci aiuta cogliere il senso e la portata decisiva di quanto l’apostolo Giacomo scrive nella sua lettera (2,14-18): “la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta” e il suggerimento di Gesù, proposto dal vangelo (Mc 8,27-35) a chi vuole salvare la propria vita: “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Le parole di Gesù fotografano la sua stessa vita: Gesù “salva” la propria vita non trattenendola stretta nelle proprie mani, non cercando esclusivamente il proprio interesse (“rinnega se stesso”), ma condividendola (“la perde”), mettendola a disposizione del desiderio di Dio di riallacciare l’alleanza con gli uomini (“porta la croce”), prendendosi a cuore le persone, soprattutto quella che si trovano in difficoltà.
Quindi, quando Gesù rivolge queste parole a chi “vuole andare dietro a lui”, essere suo discepolo, propone loro di condurre la propria vita come lui ha condotto la propria esistenza, di fare come ha fatto lui (“vivere secondo la sua parola e il suo esempio”, questo abbiamo chiesto al Padre nella preghiera), perché questa è l’unico modo per compiere il desiderio umanissimo, che ognuno di noi porta in cuore, di “salvare” la propria vita.
L’apostolo Giacomo conferisce ulteriore concretezza alla parola di Gesù: chi si ritiene discepolo di Gesù (“dice di aver fede”) non si limita ad augurare migliore fortuna a chi “è senza vestito e sprovvisto di cibo quotidiano” («Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”), ma s’impegna a provvedere concretamente a offrire “il necessario per il corpo”.
Chiediamoci come stiamo cercando di salvare la nostra vita, se percorrendo la strada tracciata da Gesù e suggerita dall’apostolo Giacomo, oppure se ascoltando le nostre paure, alimentate da un clima culturale di questi tempi, che ci suggeriscono di trattenere per noi quello che abbiamo, di occuparci, prima di tutto (e il passaggio dal prima di tutto all’esclusivamente è breve) di noi stessi, dei nostri problemi.
Dove attingere quel coraggio di “perdere la vita” cui fa riferimento la preghiera che abbiamo rivolto al Padre? Guardando a Gesù, il quale prima di noi ha deciso di non essere l’unico beneficiario della propria vita, ma di ospitarvi altri, soprattutto quelli più in difficoltà. Gesù quella vita che lui ha messo a disposizione di Dio Padre e degli altri, la riceve di nuovo in tutta sua pienezza (risorge).
Guardando a Gesù, seguendolo su questa strada noi guadagniamo la certezza che in questo modo il desiderio di salvare la nostra vita non resterà deluso, frustrato (“certi di salvare la nostra vita”, abbia riconosciuto sempre in quella preghiera).
Oggi siamo in tanti a ricordare con don Sergio i momenti più significativi della sua esistenza: i 75 anni dalla nascita, i 50 del suo ministero sacerdotale e i 20 anni del suo servizio come parroco ad Arcevia.
Il nostro vuole essere un ricordo pieno di gratitudine al Signore per il bene che ha voluto e continua a volere a don Sergio. Vogliamo, inoltre, dire il nostro grazie a don Sergio, il grazie della chiesa di Senigallia, per il suo lungo e generoso servizio in questa chiesa. Da 50 anni don Sergio ha accolto l’invito del Signore a seguirlo, a “portare con lui la croce” del servizio al Regno di Dio, a “perdere la propria vita” sull’esempio di Gesù per le persone che ha incontrato nel suo ministero. Gli siamo grati perché ci ha mostrato con il suo ministero che la via per salvare la propria vita, percorsa da Gesù e proposta da lui ai suoi amici, non delude. Preghiamo per lui il Signore, perché ancora a lungo il suo ministero confermi, a lui e a noi, la bontà di questo cammino.