A conclusione della Messa crismale chiederemo a “Dio onnipotente” di “concedere che, rinnovati dai santi misteri, diffondiamo nel mondo il buon profumo di Cristo”. La richiesta dice la consapevolezza che la fecondità del nostro ministero non dipende, anzitutto, da un’intelligente strategia pastorale né dal generoso impegno, ma da quel “rinnovamento” propiziato dai “santi misteri”, dai sacramenti ricevuti e amministrati, primo fra tutti dall’Eucaristia.
Il “rinnovamento” prodotto dai sacramenti non ha una ricaduta, prima di tutto morale, su di noi, né si esaurisce nel rilanciare l’ impegno pastorale, ma opera la nostra “configurazione” a Colui che è “principio e fondamento”, sia della nostra fede che del nostro ministero, che della fede rappresenta l’espressione personale; ci configura a Cristo, nel senso che, come recita la preghiera della Colletta, “ci rende partecipi della sua consacrazione”.
Una configurazione/partecipazione che ci consente di “essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza” (cfr Colletta), di “diffondere nel mondo il buon profumo di Cristo (cfr la preghiera dopo la comunione). Il Vangelo appena proclamato (Lc 4,16-21) permette di comprendere in che cosa consiste la nostra configurazione a Cristo, nel far propria, anzitutto, la stessa consapevolezza di Gesù, il quale nella sinagoga di Nazareth s’identifica nell’inviato di Dio di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura (Is 61, 1-3a.6a.8b-9) e riconosce che lo «Spirito di Dio è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione». Un’unzione, una consacrazione non fine a se stessa, di cui lui è l’esclusivo beneficiario, perché è “per il lieto annuncio” ai poveri, ai prigionieri, alla “proclamazione dell’anno di grazia del Signore”.
Anche la nostra configurazione a Cristo prosegue, si manifesta nell’essere testimoni nel mondo, nel mondo di questi tempi, della sua opera di salvezza, nel “diffondere nel mondo, nel mondo di questi giorni, inquinato dalla violenza mortale, dall’incomunicabilità, il “buon profumo di Cristo” di un’esistenza nuova, libera, perché condotta, come quella di Gesù, nell’amore generatore di vita, nelal promozione della pace, della giustizia.
Se la fecondità del nostro ministero (“portare il profumo di Cristo”) è garantita dalla nostra configurazione (“consacrazione”) a lui e se questa è “rinnovata” (rilanciata come nuova) dai “santi misteri” che celebriamo, per noi e per le nostre comunità, a quali conclusioni giungere?
Una fra tutte e prima di tutte: la cura dei “santi misteri” che celebriamo. Non si tratta della cura dei riti, del modo con cui celebriamo (che pure ha la sua importanza), ma di quanto questi riti significano, comunicano nella nostra esistenza di pastori e nelle nostre comunità.
I “santi misteri” che celebriamo ci rinviano al Signore Gesù, il Figlio consacrato da Dio “con l’unzione dello Spirito Santo” e “da lui costituito Messia e Signore”. Aver cura “dei santi misteri”, della loro celebrazione, chiede, quindi, di aver cura della nostra relazione con Gesù, il Messia e il Signore, che “nei santi misteri” compie l’opera di salvezza, nostra, delle nostre comunità, del mondo. Ce lo ricordano in ogni celebrazione dell’Eucaristia le parole di Gesù: «questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi (per ciascuno di noi, per le nostre comunità) e per tutti (per gli uomini e le donne di ogni tempo, di questo tempo).
Avere cura della consapevolezza che quella con il Signore Gesù non si tratta di una delle tante relazioni che abitano il nostro ministero, ma di quella relazione che fonda tutto il resto, le altre relazioni, che costituisce la ragione della scelta d’impegnare la nostra vita per il Signore, di condividere con lui l’opera della salvezza affidatagli dal Padre. Scelta che abbiamo comunicato nel giorno della nostra ordinazione, che anche quest’anno confermeremo nel rinnovo di quelle promesse, dichiarando la nostra volontà di “unirci intimamente al Signore, modello del nostro sacerdozio” e di “essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio per mezzo della santa eucaristia e delle altre azioni liturgiche (i “santi misteri”).
Se la relazione con il Signore Gesù rappresenta il fondamento e la sorgente da cui nasce e a cui si alimenta il nostro ministero, la concreta conclusione può essere che, lo ricordo anzitutto a me Vescovo, la cura primaria di essa. Ancora più concretamente: la strutturazione delle nostre giornate, la dedicazione ad essa di uno spazio, di un tempo adeguati, non residuali.
Papa Francesco, a conclusione del dialogo con noi vescovi marchigiani nella recente “Visita ad limina”, ci ricordato, come prima consegna, che la preghiera è il primo impegno del ministero del vescovo (penso che possa essere esteso anche al ministero del prete).
Il magistero di papa Francesco, quello della parola e quello dei gesti, ci impedisce di considerare la cura della preghiera come un arretramento del ministero, un ritirarsi nelle chiese (o, come ricorda lui, nelle sacrestie), anzi, ci sollecita ad apprezzarla come garanzia di un ministero sereno e fecondo, anche (soprattutto) di questi tempi.