Nella preghiera della Colletta abbiamo chiesto a Dio, nostro Padre, di poter iniziare con il suo aiuto, “un cammino di vera conversione”. La richiesta di una vera, autentica, conversione fa pensare che ci può essere anche una conversione non autentica, soltanto esibita. Ci chiediamo quando la nostra conversione può dirsi autentica?
La conversione è la prima richiesta avanzata da Gesù all’inizio del suo ministero: dopo aver proclamato che il “tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”, conclude con “convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15). Gesù ci dice che la nostra conversione è autentica, quando ci conduce a dar credito alla buona notizia (il vangelo) della liberazione della nostra vita dal male, a dar credito a Lui che non è solo il proclamatore di questa buona notizi , ma la stessa buona notizia.
Il profeta Gioele, nella prima lettura (Gl 2,12-18) si muove nella stessa direzione di Gesù, quando, per conto di Dio, invita il popolo d’Israele a ritornare a Dio “con tutto il cuore”. Al primo invito ne segue un secondo, dal tono polemico: “laceratevi il curo, non le vesti. Ritornate al Signore vostro Dio”.
La nostra conversione è vera, autentica, quando coinvolge, tocca il nostro cuore, cioè il luogo sorgivo delle nostre passioni, desideri, decisioni e azioni. E’ dal cuore che dipende la qualità, buona o malvagia, delle nostre parole, dei nostri atteggiamenti e delle nostre azioni. Lo ha ricordato Gesù in una polemica con i farisei e alcuni scribi riguardo a ciò che poteva rendere impuro (compromettere la buona qualità) il cuore delle persone: «Non c’ è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro… ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini escono i propositi di male…» (cfr Mc 7,14-23).
Anche nel vangelo di questa Eucaristia (Mt 6,1-6.16-18) Gesù, pur non nominando mai il nostro cuore, ci riconduce lì quando ci invita a vigilare sulle ragioni che ispirano la nostra preghiera, il nostro digiuno, la nostra elemosina. Vigilare perché la pratica della preghiera, dell’elemosina e del digiuno non cedano alla tentazione del riconoscimento pubblico, della promozione della nostra immagine, ma ricevano l’apprezzamento del Padre, l’unico in grado di “vedere” (comprendere) nel segreto del nostro cuore.
Il profeta Gioele e l’apostolo Paolo come ragione persuasiva per la cura del cuore la buona disposizione di Dio nei nostri confronti.
Il Profeta ci rassicura che il nostro Dio “è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande nell’amore, prono a ravvedersi riguardo al male”. L’Apostolo va oltre, perché rivela il desiderio di Dio di riconciliarsi con ciascuno di noi, quando scrive che “Colui che non aveva conosciuto peccato (si tratta di Gesù, il Figlio di Dio), Dio lo fece peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare giustizia di Dio” (seconda Lettura, 2Cor 5,20-6,2).
Papa Francesco, nel suo messaggio per la Quaresima (“Ascesi quaresimale e percorso sinodale”) ci segnala come cammino per la cura del cuore, “ascoltare Gesù”.