“Risveglia in noi uno spirito vigilante”. Questa è la richiesta rivolta a Dio, “Padre misericordioso”. Il “risveglio” indica tante cose: la ripresa delle nostra attività dopo il sonno, la ripartenza dopo una sosta imposta dalle circostanze della vita (una malattia, un ostacolo, un lutto, uno sbaglio, una sconfitta…). Risvegliarsi significa riprendere in mano la propria vita.
Al Signore abbiamo chiesto di “risvegliare (ridestare) in noi uno spirito vigilante”, di ridestare cioè un atteggiamento, un modo di stare al mondo, proprio di chi attende qualcuno, perché consapevole che quanto la vita gli offre, quanto lui è riuscito a procurarsi con le proprie mani, non basta, non esaurisce il desiderio di una esistenza piena, compiuta. Questa consapevolezza emerge anche nella preghiera finale, dove ci riconosciamo “pellegrini sulla terra”.
La richiesta l’abbiamo rivolta al Padre misericordioso, perché Lui ha “inviato suo Figlio unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione”.
C’è una seconda ragione che motiva la richiesta. Il vangelo appena proclamato (Mt 24,27-44) parla di quanto succedeva ai tempi di Noè, quando la gente viveva totalmente assorbita dalle vicende della vita (“prendevano moglie e prendevano marito”) e esclusivamente interessata alla propria sopravvivenza (“mangiavano e bevevano”), senza rendersi conto della tragedia di un devastante diluvio che stava per accadere. L’orizzonte dell’esistenza di quelle persone era esclusivamente quello della vita che si svolge sulla terra.
Anche oggi per molte persone l’orizzonte della propria esistenza è esclusivamente quello della vita terrena, quello che ha a che fare con quanto accade nel tempo vita sulla terra. Una scelta di vita che rende plausibile l’interrogativo di Gesù: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà troverà la fede (troverà qualcuno che lo attende) sulla terra?» (Lc 18,8).
In riferimento a quello che accade sulla terra l’invito di Gesù a vegliare appare prezioso e potremmo riformularlo così: «Vivete l’esistenza, trascorrete la vostra vita sulla terra, attendendo il mio ritorno».
L’immagine proposta da Gesù per sollecitare un’attenta vigilanza non deve ingannarci né tanto meno turbarci, perché Gesù non è un ladro che viene per colpire, per derubarci della vita. Ad evitare l’identificazione della sua venuta con l’irrompere nelle nostra case, senza preavviso, del ladro, è lo stesso Gesù, il quale, nell’ultima sera trascorsa con i discepoli, li invitava a non cedere al turbamento che insidiava il loro cuore («Non sia turbato il vostro cuore», Gv 14,1) e ne indicava la ragione («Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,3). E’ ancora il Signore a rassicurarci con immagine proposta nel libro dell’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Il Signore viene quindi non come un ladro che deruba, ma come un ospite che arricchisce, come “il Figlio, maestro di verità e fonte di riconciliazione”, inviato da Dio, il “Padre misericordioso”.
Scrive S. Leone Magno: «Il Signore quindi viene quando visita, si ferma rivelandosi soavemente, chiama svegliando all’amore della sua gloria che manifesta suscitando un più ardente desiderio».
La promessa di Gesù amplia l’orizzonte della nostra esistenza, che non resta più prigioniera del tempo che scorre, ma si sporge, prosegue in un orizzonte di vita piena, quella che Gesù vive da risorto con quel Padre misericordioso a cui ci siamo rivolti nella preghiera. Vegliare, quindi, significa vivere attendendo Colui che ci vuole con sé, partecipi della sua stessa condizione di Figlio risorto.
Ad assicurarci che non dobbiamo temere il Signore che viene è anche il “messaggio” che il profeta Isaia ha ricevuto (Is 2,1-5): l’intervento del Signore (“sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli”) apre un nuovo scenario nella vita delle persone, cammini nuovi, non più segnati dalla violenza della guerra che semina morte, alimenta tensioni e provoca rotture, ma dalla pace che consente il fiorire della vita (questo sembra indicare l’immagine delle spade trasformate in aratri e delle lance in falci) e l’incontro tra le nazioni (“una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione”).
L’apostolo Paolo nel testo della lettera ai Romani (13,11-14a) chiarisce cosa comporta concretamente “vegliare” raccomandato da Gesù, vivere cioè attendendo la sua venuta. L’Apostolo ricorda che è giunto il tempo di “risvegliarsi dal sonno”, cioè di abbandonare quella situazione di inerzia, di immobilità, indotta dal sonno.
Il motivo della necessità di un risveglio è dato dal fatto che la notte (del mondo) sta per passare (“è avanzata”) e il giorno (del Signore) è ormai vicino e la luce sta per scacciare le tenebre.
Paolo intende la vicinanza del giorno anzitutto in senso temporale. Ora il giorno (del Signore) è più vicino rispetto a quando abbiamo iniziato (con il battesimo) il nostro cammino di fede.
«Giorno dopo giorno aumenta la vicinanza della salvezza e diminuisce la sua lontananza. Qui non ci sono date. La sua vicinanza è un approssimarsi non calcolabile, è l’approssimarsi…è un arrivo sempre incombente, anzi è già una presenza che ci sovrasta» (H. Schlier).
Destarsi dal sonno di un’esistenza mondana significa per Paolo: “gettare via le opere delle tenebre”, quelle opere che portano in se stesse le tenebre e le diffondono (cfr Gal 5,19: l’elenco delle “opere della carne”); “indossare le armi della luce” (cfr Ef 6,11ss); condurre un’esistenza dignitosa (“comportiamoci onestamente, come in pieno giorno”), con una regola nell’uso del cibo (“non in mezzo a orge e ubriachezze”), nell’esercizio della sessualità (“non fra lussuria e impurità”), ricuperando rapporti sereni (“non in litigi e gelosie”), “rivestirsi del Signore Gesù”. L’ultima indicazione fa da quadro di riferimento e giustificativo delle esemplificazioni precedenti. Il riferimento è a quanto accaduto nel battesimo, riassunto dalle parole del ministro del sacramento: «sei diventato nuova creatura, e ti sei rivestito di Cristo. Questa veste bianca sia segno della tua nuova dignità: aiutato dalle parole e dall’esempio dei tuoi cari, portala senza macchia per la vita eterna».
«I cristiani che hanno “indossato” Cristo Gesù. lo devono ancor sempre “indossare” di nuovo e quindi devono dimostrare sempre nuovamente quel loro «essere nel Signore Gesù Cristo», confermando così la loro situazione» (H. Schlier). Il cristiano è impegnato a realizzare nella propria vita ciò che gli è accaduto nel battesimo, non solo con atti isolati, ma con uno stato, uno stile, appreso dall’essere “rivestito di Cristo”.
L’attesa del Signore costituisce il cuore della fede cristiana: il nome del cristiano è «colui che attende il Signore» (J. H. Newman). L’attesa del Signore non assomiglia (non dovrebbe assomigliare) a quella che caratterizza i “tempi morti” della nostra vita (come accade nelle tante sale di attesa). Ci deve far pensare il rilievo di uno scrittore, Ignazio Silone: «Mi sono stancato di cristiani che aspettano la venuta del loro Signore con la stessa indifferenza con cui si aspetta l’arrivo dell’autobus».
Quella vissuta dai cristiani è un’attesa invece che esprime (dovrebbe esprimere) quanto il termine stesso indica: ad-tendere, tendere verso… L’attesa quindi fa riferimento a un’attività interiore, a un interesse; rappresenta la figura del desiderio che tiene desta la persona, la rende attenta, pronta. Per questo strettamente legata a essa sta la vigilanza, quell’«atteggiamento umano-spirituale di lucidità, di sobrietà, di attenzione alla storia, alla vita, all’oggi, agli altri; è passione per il Signore e rigetto degli idoli, è presenza a se stessi e attenzione alla presenza del Signore che viene incontro all’uomo in queste umanissime realtà» (L. Manicardi). Per S. Basilio vigilare è “proprio del cristiano” e si esprime come un “essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio”.
Nel tempo liturgico dell’Avvento siamo richiamati con insistenza a quello che rappresenta il cuore della vita cristiana: vivere attendendo il Signore che viene, vigilare perché la sua venuta non ci sorprenda come un ladro nella notte, ma ci allieti come quella dell’ospite a lungo atteso e finalmente accolto.
Il tempo dell’Avvento ci è donato ogni anno perché «infiammiamo i nostri cuori con l’amore e il desiderio di Cristo», il tempo in cui «dobbiamo pensare a quanto cose buone ha fatto il Signore nostro nella sua prima venuta e a quelle che ancor più grandi farà nella seconda e con tale pensiero dobbiamo amare la sua prima venuta e desiderare molto la seconda» (Aelredo di Rievaux).
S. Leone Magno tratteggia un percorso della veglia: «Veglia chi di fronte alla luce tiene aperti gli occhi dell’anima [la cura del cuore], chi attua nella vita, la verità creduta [la pratica della fede], chi allontana da sé le tenebre del torpore e della negligenza [l’ascesi]».