Anche agli inizi del 2022 gli auguri che ci scambiamo esprimono le stesse attese del primo giorno dell’anno appena concluso, attese legate alla pandemia che si sta prolungando, con effetti pesanti sulla nostra esistenza.
Ci chiediamo: come considerare gli auguri che ci scambiamo di un anno “buono”, migliore del precedente, come un “rituale”, uno dei tanti cui ci prestiamo, consapevoli della loro precarietà data la situazione in cui ci troviamo, nostro malgrado, oppure li riteniamo giustificati, sensati?
La risposta non la chiediamo agli oroscopi che anche in frangenti come questi si candidano a offrirci risposte affidabili, se non addirittura rassicuranti, ma la chiediamo al Signore che ci ha rivolto la sua parola con i testi delle Scritture sante appena proclamati.
Nel breve testo del libro dei Numeri, proposto come prima Lettura (Num 6,22-27), il Signore dà mandato a Mosè perché suggerisca ad Aronne e ai suoi figli (i sacerdoti) le parole della benedizione con cui accogliere i pellegrini che salivano a Gerusalemme ed entravano nel Tempio.
Le parole della benedizione sono più di un augurio, perché attestano quanto Dio l’Altissimo intende operare a loro favore: si prenderà cura di loro, mostrerà tutta la sua benevolenza (“faccia risplendere la sua benevolenza e ti faccia grazia”), opererà perché la loro vita sia un’esistenza pacificata (“ti conceda pace”)-
L’apostolo Paolo nella seconda Lettura (Gal 4,4-7) offre la testimonianza più antica del Nuovo Testamento riguardo alla nascita di Gesù («Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli»); annuncia che Dio Padre interviene nella nostra storia degli uomini con un evento straordinario: manda il proprio Figlio, che sarà chiamato Gesù, “nato da donna, nato sotto la Legge”. Le due specificazioni attestano che il Figlio mandato dal Padre non resta “un corpo estraneo” nella storia degli uomini, perché nasce davvero uomo, fin da primo momento del suo concepimento e del suo ingresso nel mondo.
Quella che il Figlio di Dio assume è un’umanità fragile, simile alla nostra, bisognosa di attenzione, di amore. Il Figlio di Dio “nasce dotto la Legge”, in un popolo, quello ebreo, soggetto, quindi, alla legislazione mosaica.
Proseguendo nel suo scritto l’Apostolo spiega le ragioni della nascita del Figlio di Dio tra gli uomini: «per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli». Il Figlio di Dio nasce tra gli uomini per rendere gli uomini figli di Dio, suo Padre, perché anche gli uomini possano rivolgersi a Dio con lo stesso nome con cui lui da sempre lo chiama: “Abba, Padre” (l’espressione aramaica – Abba – suggerisce una traduzione che segnala il legame affettuoso tra il Figlio e Dio: Papà, Babbo).
Il regalo ricevuto dal Figlio cambia la nostra condizione: non più schiavi, ma figli, per questo, beneficiari dell’eredità che il Padre ha in serbo per il Figlio.
Nel vangelo (Lc 2,16-21) Luca, oltre alla reazione dei pastori alla notizia della nascita di Gesù («Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia»), riferisce di come Maria reagisce di fronte a quello che è accaduto («Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore»). Pur nella sua brevità è una segnalazione preziosa per noi.
Le “cose” che Maria custodisce e medita nel cuore appaiono tra loro contrastanti. Lei sa che il bambino che ha partorito è il Figlio di Dio e lo ha partorito in un luogo dove nessuna donna avrebbe partorito. Dall’angelo aveva saputo che il suo bambino avrebbe salvato il suo popolo e si trova, invece, un gruppo di pastori, le persone meno titolate a rappresentare il popolo d’Israele e anche le meno consapevoli della portata di quella nascita. Maria queste cose le “custodiva, meditandole, nel cuore”, cercandone, cioè, il significato, il senso; non rifiuta di confrontarsi con una realtà compressa, che risulta contraddittoria, bisognosa di essere decifrata, come era successo nella sua casa di Nazareth con le parole dell’angelo che l’avevano molto turbata e provocato delle domande.
In questa Eucarestia abbiamo udito parole rassicuranti, che ci hanno confermato ancora una volta che Dio non è assente dal mondo, dalla nostra esistenza ferita, colpita dalla sofferenza provocata da tante prove, lontano da noi, persone confuse e smarrite. La madre del Figlio di Dio ci invita a fare come lei, in quella notte, ad abitare una storia, quella personale e quella di questi tempi, con la sua complessità e con le contraddizioni, lasciando che il Signore parli al nostro cuore, prigioniero delle sue paure, ma anche delle sue presunzioni.
Chiediamo al Signore che il nostro cuore non resti chiuso alle sue parole, perché gli auguri che ci scambieremo non restino un stanco rituale.