Lettera Pastorale “La famiglia, icona della tenerrezza divina” (4 ottobre 2006)

Senigallia, 4 ottobre 2006

La famiglia icona della tenerezza divina

Educare all’amore

Linee programmatiche per l’anno pastorale 2006-2007

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Senigallia

Un nuovo anno pastorale è davanti a noi. La Chiesa, pellegrina nella storia, cammina verso la meta dei “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21,1), dove potrà contemplare il volto del suo Signore, l’Amore infinito. In questa consapevolezza siamo chiamati a precisare il percorso che la nostra Chiesa particolare, docile alla parola di Dio e attenta ai segni dei tempi, intende compiere nel prossimo futuro.
Facendo seguito ai Convegni pastorali del 5-6 giugno e 12-13 settembre 2006, il percorso che propongo a tutta la comunità diocesana per il nuovo anno pastorale si colloca in stretto rapporto di continuità con quello precedente. Al centro dell’attenzione vogliamo mettere ancora la famiglia, nella convinzione che questa realtà è “crocevia” necessario e privilegiato della vita della Chiesa e della società.
La famiglia conosce oggigiorno non poche difficoltà: i sintomi del suo malessere sono evidenti e non possono non preoccupare gli operatori pastorali, sapendo che il futuro della Chiesa e della società dipende largamente da questa istituzione.
E’ da notare, peraltro, che la famiglia è una realtà trasversale: è un ambito che attraversa tutti i settori della pastorale. Prendendo cura della famiglia, si rivolge l’attenzione a tutti i soggetti e a tutte le categorie.
In questa prospettiva, nel nuovo anno pastorale concentreremo l’attenzione su un aspetto specifico e fondamentale della realtà della famiglia, quale è quello dell’amore.
Come ci ricorda il Convegno ecclesiale di Verona, la sfida, per la famiglia cristiana, è quella di essere testimone di Gesù risorto, speranza del mondo: vogliamo approfondire questo impegno, particolarmente per quanto riguarda il cuore della vocazione e missione della famiglia, e cioè l’amore, ovvero la base delle relazioni di affetto, di amicizia e di solidarietà che fanno della famiglia un nucleo unito e aperto agli altri.

1. CENTRALITA’ DELL’AMORE

Il fondamento del matrimonio e della famiglia è effettivamente l’amore. L’amore è l’anima della vita di coppia, del matrimonio e della famiglia.
La maggior parte delle patologie della famiglia – si pensi ai conflitti spesso insanabili o alle tante e sempre più frequenti separazioni – si manifesta quando non c’è amore tra gli sposi, quando i coniugi non si sentono amati l’uno dall’altro e di conseguenza cala il gelo della solitudine, della monotonia, dello stato di rivincita permanente.
Le stesse convivenze o unioni di fatto, che vanno moltiplicandosi anche nel nostro territorio, sono indice di un amore mal compreso e spesso rivelano un’immaturità affettiva.
Anche il comportamento sessuale dei giovani, nel clima della società consumistica ed edonistica come l’attuale, si esprime spesso con i caratteri dell’istintività, della passione, della sensitività ridotta alla genitalità, a prescindere dal vero amore.
Di fronte a queste tendenze dobbiamo scoprire o riscoprire che solo un amore autentico è in grado di permettere alla persona di realizzare pienamente se stessa, di essere felice, di garantire un matrimonio riuscito o di far rinascere un matrimonio in crisi. Solo l’amore è capace di sanare le ferite, i conflitti all’interno della famiglia tra i coniugi, tra genitori e figli, tra i figli stessi.

2. ALLE FONTI DELLA RIVELAZIONE

Si comprende subito che il problema centrale è quello dell’educazione all’amore, all’affettività. Alla maturità dell’amore e dell’affettività non si arriva improvvisamente o automaticamente. Bisogna compiere un cammino, un percorso. Come intendere l’amore, questa parola spesso abusata? Quali contenuti dare a questo termine? Per rispondere a queste domande bisogna andare alla scuola dell’amore. Questo significa che bisogna risalire alle fonti, aprendosi all’orizzonte ineffabile del mistero di Dio e della rivelazione di suo Figlio.

Dio è amore

Al centro della rivelazione divina, nel Nuovo Testamento, troviamo questa definizione: Dio è amore (1 Gv 4.16). Siamo qui di fronte al centro della fede cristiana: ce lo ricorda Benedetto XVI nella sua prima lettera enciclica che porta questo stesso titolo: “Deus caritas est”, che tradotto in italiano significa “Dio è amore”.
In Dio Amore ed Essere si identificano: il Padre, l’eterno amante; il Figlio, l’eterno amato; lo Spirito Santo, l’eterno amore del Padre e del Figlio. Tre persone, ma solo un essere-amore: una “relazione”, una comunione di Tre che sono Uno, in uno scambio ineffabile di accoglienza, dono, condivisione.
Dio è Amore e in quanto tale ama l’uomo. Ma come lo ama? Il Papa afferma nella sua enciclica che nell’amore di Dio si individuano due caratteristiche: quella dell’agape e quella dell’eros. L’agape è l’amore donativo, gratuito, che ricerca il bene dell’altro; l’eros è il desiderio di amare e di essere amati, è il sentimento che coinvolge tutte le dimensioni della persona. L’attenzione di Dio per l’uomo si manifesta come amore-bisogno-esigenza-passione-desiderio; ma è un eros totalmente purificato che coincide con l’amore-agape.
Questi due aspetti, l’amore come agape-dono e l’amore come eros-desiderio-sentimento si ritrovano congiunti nel concetto di tenerezza1.
Se l’amore agapico è puro dono, la tenerezza implica la tensione a farsi dono in un coinvolgimento di tutto l’essere. La tenerezza muove dall’eros, inteso come spinta in su, in alto, forza vitale, affettività; come tale precede l’agape, l’accompagna e la segue conferendo al gesto dell’agape un afflato sensibile di partecipazione, di simpatia e di empatia.
La tenerezza rappresenta questa avvolgenza dell’amore, questa effusione affettiva entro cui soltanto l’amore si può compiutamente manifestare e attuare2.
Non facciamo fatica a comprendere come l’amore di Dio per l’uomo si configura e si manifesta come tenerezza. Il Dio Trinità ama di un amore che è allo stesso tempo oblativo, gratuito, appassionato, compassionevole, misericordioso.

La tenerezza di Gesù3

Gesù è il rivelatore del Padre. Come ha concretamente, storicamente, manifestato l’amore del Dio-Trinità? Come ha amato Gesù, come ha impostato le sue relazioni con gli uomini?

Gesti di tenerezza di Gesù

Uno dei dati più accertati dell’agire storico di Gesù è il suo farsi vicino agli emarginati, agli indifesi e a tutti coloro che si trovano in una situazione di difficoltà o di bisogno. Ogni categoria di “ultimi” è oggetto di una tenerezza senza limiti da parte del Maestro, con la disponibilità ad essere loro vicino, in una dimensione di predilezione e di perdono, di invito alla conversione e di offerta della salvezza.
La sua è una tenerezza di compassione, di partecipazione profonda, empatica, al vissuto dei suoi interlocutori, che lo spinge a farsi vicino a chi è nel bisogno, con tutto ciò che questo comporta sul piano della partecipazione e della disponibilità al servizio, fino all’autoconsegna di sé per tutti, in un gesto di tenerezza assoluta che non trova altra ragione che l’amore di gratuità.
Innumerevoli sono i gesti attraverso i quali Gesù manifesta il suo amore. Si pensi all’accoglienza dei pubblicani e dei peccatori, alla guarigione degli ammalati e degli indemoniati, al rispetto e alla valorizzazione della donna, all’accoglienza dei bambini e dei piccoli, al perdono dei nemici e dei malfattori.
Ma soprattutto è emblematico, in ordine al matrimonio e alla famiglia, il suo intervento alle nozze di Cana (Gv 2, 1-12). Fu questo il primo miracolo-segno per dare inizio alla sua missione evangelizzatrice. Un miracolo-segno volto precisamente ad assicurare la felicità degli sposi, la gioia della famiglia.
L’amore è una realtà meravigliosa, ma allo stesso tempo fragile. La mancanza di vino, che mette in pericolo la gioia degli sposi, fa riflettere sull’eventualità che la gioia dell’uomo sia in qualche modo compromessa, sino a venir meno. Fa parte dell’esperienza quotidiana il disagio quando qualcosa di concreto sembra incrinarsi o venir meno. La gioia, che da sempre è legata all’amore, quasi vacilla e può anche scomparire. Ci sono giorni in cui gli affetti, le amicizie, i rapporti che si sono costruiti con pazienza, si allentano e appaiono insufficienti a dar gusto alla vita.
Gesù non rimane indifferente di fronte al disagio degli sposi. Alle nozze di Cana, di fronte al rischio che sia compromessa la gioia del loro amore, Gesù mostra la sua tenerezza, compie il miracolo, salva la festa dal fallimento.
La pagina delle nozze di Cana manifesta il carattere meraviglioso dell’amore che Gesù dona a tutti coloro che si sposano in lui. Per questi sposi egli vuole un evento di gioia e una vita felice. Con squisita umanità difende questa famiglia fin dal suo nascere, la solleva dalle prime difficoltà, la introduce ad una esistenza significativa e feconda, dove le relazioni non si deteriorano e non vengono meno nonostante gli inevitabili cambiamenti dello scorrere della vita4.

La tenerezza di Gesù come amore del Padre nello Spirito

I gesti di tenerezza manifestati da Gesù rivelano il suo atteggiamento di fondo verso il Padre. E’ possibile coglierne il senso più alto alla luce delle motivazioni che li giustificano.
La tenerezza di Gesù, la sua dilezione amorevole e amicale, la sua costante premura per i bisognosi sgorga dall’amore tenerissimo del Padre, del quale si sente Figlio, per il quale è venuto nel mondo e al quale intende obbedire con tutto se stesso e sgorga anche dalla presenza dello Spirito che lo fa esaltare di gioia
Espressione significativa della tenerezza di Gesù verso il Padre è la sua preghiera. In ogni circostanza il contenuto della sua preghiera è connotato dal forte riferimento al Padre. Una novità straordinaria della preghiera di Gesù consiste nel fatto che egli si rivolge a Dio chiamandolo “abbà” (cf. Mc 14,36), un vezzeggiativo corrispondente al nostro “papà” o “babbo” che portava con sé una fortissima carica di intimità e di affetto.

La tenerezza di Gesù come amicizia e servizio

La tenerezza di Gesù si presenta come una modalità esistenziale da lui vissuta ad almeno due livelli: come tenerezza di solidarietà e di amicizia e come tenerezza di oblazione e di servizio.
Con l’incarnazione, divenuto uomo, Gesù ha amato con cuore di uomo. Egli vive le sue amicizie in modo profondamente umano, con una reale partecipazione del cuore e dell’affetto.
Istruttiva è la storia della sua amicizia con Lazzaro (Gv 11,1-44). Questi viene esplicitamente chiamato “amico” del Maestro e Gesù stesso lo qualifica come suo “amico”. Nel vedere piangere Maria e gli altri giudei, Gesù si commuove profondamente e scoppia in pianto: non c’è alcun imbarazzo nel manifestare la propria commozione fino alle lacrime. L’amicizia, quando è vera, esige una partecipazione di questo tipo. E Gesù vive un’amicizia reale, autentica, tanto che la gente dice: vedi come lo amava! Un’amicizia peraltro che non è rivolta soltanto a Lazzaro, ma anche alle sue stesse sorelle, Marta e Maria.
Anche nei riguardi dei discepoli Gesù usa il termine “amici”. “Voi siete miei amici”, “vi ho chiamati amici” e non servi (Gv 15,14.15). E ne spiega il motivo: “Vi ho amati” (Gv 15,12; 13,34). Gesù ha realmente amato i suoi, come ha amato tutti i figli di Israele, verso i quali è stato come una chioccia che raccoglie sotto le sue ali i pulcini e li protegge con affetto materno (cf. Mt 23,37). Proprio perché amati, i discepoli dovranno amarsi gli uni gli altri fino a dare la vita per gli amici come per primo ha fatto Gesù.
In effetti Gesù è cosciente di essere venuto a “dare la vita per i propri amici”. Alla croce va incontro liberamente come risposta alla volontà del Padre. La motivazione non può essere che l’amore: l’amore tenerissimo di Gesù verso il Padre e verso ogni creatura, un amore che non ha altra ragione che l’amore stesso. Il “per” va inteso non tanto in senso espiatorio (al posto di), ma “a vantaggio di”, “a servizio di”, di dono e offerta di sé all’interno di una relazione di amore-amicale. La tenerezza di Gesù, che offre la sua vita per amore, appare non semplicemente una caratteristica del suo essere, ma il suo stesso essere, come forma strutturale della sua costituzione teandrica. Come è stato ripetuto in questi ultimi decenni, sulla scia di Bonhoeffer, Gesù è “l’uomo totalmente per gli altri”, la sua esistenza è una “pro-esistenza”.

L’amore-tenerezza dell’uomo

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo all’amore. Creandolo a sua immagine e continuamente conservandolo nell’essere, Dio ha inscritto nel cuore dell’uomo la vocazione e quindi la capacità di amare. L’amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano.
Peraltro l’uomo è chiamato ad amare non in una maniera qualsiasi, ma secondo le caratteristiche, le modalità dell’amore divino. Se l’amore di Dio è insieme agape ed eros purificato, anche l’amore dell’uomo deve avere le stesse qualità. Se l’amore di Dio, come Gesù con la sua vita ha manifestato, si configura come tenerezza, anche l’amore dell’uomo deve essere tale: “vi ho dato l’esempio, perché, come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15); “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 15,12).

La famiglia è il luogo primario, fondamentale e indispensabile, il primo spazio in cui si scopre la tenerezza, si sperimenta e si impara a viverla. Certamente la tenerezza è un sentimento che ha diritto di cittadinanza in tutti gli ambiti della vita, ma la famiglia rimane l’ambito privilegiato.
Il matrimonio e la famiglia non possono fare a meno dell’amore e della sua forma specifica che è la tenerezza. E’ da questo che dipende la gioia del matrimonio, la felicità e l’unità della famiglia. Soltanto se si ritorna all’amore – all’amore autentico, purificato dall’egoismo – si possono sanare le ferite che si riscontrano nel vissuto della vita matrimoniale e familiare.

3. LINEE D’AZIONE

Imparare ad amare: è un impegno che dura tutta la vita. E’ un impegno che esige una continua educazione a partire dalla prima infanzia fino al tempo della vecchiaia.
Educare all’amore, alla tenerezza, all’affettività, tenendo sullo sfondo la famiglia, è l’orizzonte sul quale vogliamo particolarmente muoverci nel nuovo anno pastorale. E’ questo l’obiettivo che ci proponiamo, la strada comune che vorremmo percorrere insieme, ecclesialmente, come Chiesa di Senigallia.
Si tratta ora di tradurre questa scelta dentro i singoli settori o ambiti di azione pastorale. Raccogliendo le riflessioni maturate nei recenti Convegni pastorali diocesani, propongo qui di seguito alcune indicazioni operative.

Pastorale della famiglia

E’ questo il settore che, ai fini del cammino che vogliamo intraprendere in questo nuovo anno, è chiamato a fare da traino a tutti gli altri settori della pastorale.
L’esigenza fondamentale e prioritaria è quella di formare operatori pastorali capaci di accompagnare giovani e adulti, fidanzati e sposi nel cammino di formazione alla vita affettiva. In prospettiva si avverte anche l’esigenza di persone-equipe qualificate che sappiano accompagnare e assistere le famiglie in crisi. A questo riguardo sembra quanto mai opportuno dare vita in diocesi ad una “scuola per formatori”.
Per quanto concerne la preparazione dei giovani al matrimonio, rimane irrinunciabile la proposta di offrire loro itinerari formativi di vita cristiana: in questi percorsi non può mancare la riflessione sull’amore e sulla sessualità alla luce del Vangelo.
Ugualmente importante è la costituzione nelle parrocchie e nelle aggregazioni ecclesiali di gruppi di famiglie, come luoghi di crescita nella fede e nell’amore. Almeno “un gruppo famiglie in ogni parrocchia”: potrebbe essere questo il primo concreto obiettivo da raggiungere in tutte le comunità parrocchiali in questo nuovo anno pastorale. In particolare va sottolineata l’importanza che in questi gruppi si coltivi e si promuova la spiritualità: alcune esperienze di incontri residenziali – per favorire la conoscenza reciproca, il dialogo, la condivisione, la preghiera personale e comunitaria – potrebbero risultare molto feconde e andrebbero fortemente incoraggiate.
Non si possono peraltro ignorare le situazioni difficili e irregolari. A questo riguardo tutte le forze in campo vanno valorizzate, a cominciare dal Consultorio familiare e dal Tribunale ecclesiastico per le cause di nullità. Dovremmo anche studiare e approfondire la possibilità di forme nuove – come un “Centro d’ascolto”, un “Call center”, una Casa di spiritualità o altro – per ascoltare, accogliere e accompagnare quanti soffrono per le ferite della loro situazione matrimoniale e familiare.
Nel corso dell’anno è opportuno proporre alla comunità cristiana e civile alcuni incontri pubblici sui temi della famiglia. In particolare sarà bene programmare un Convegno di tutta la Chiesa diocesana, con la collaborazione dei vari uffici e settori pastorali, sui problemi, la vita e la missione della famiglia.

Catechesi

L’educazione alla fede non è separabile dall’educazione all’amore, proprio perché il Dio in cui crediamo è Amore. L’educazione all’amore, e in particolare all’amore nella sua specificazione di tenerezza, deve entrare in tutti gli itinerari di catechesi: catechesi rivolta ai piccoli, ai ragazzi, agli adolescenti, ai fidanzati, agli sposi, ai genitori, agli adulti, agli anziani…
Nella catechesi dei fanciulli e dei ragazzi si sottolinei la nativa vocazione all’amore iscritta nel cuore da Dio stesso che ha creato l’uomo ad immagine della Trinità. Si propongano alcune esperienze che sollecitino una relazione rispettosa, affettuosa e di solidarietà in famiglia, con i compagni e verso i bisognosi. Se possibile si crei un rapporto strutturato con l’ACR.
Nei percorsi formativi dei genitori, i cui figli si preparano ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, si aiutino i genitori stessi ad accogliere i figli come dono di Dio-Amore e a scoprire la ricchezza che la presenza dei figli rappresenta per il loro reciproco amore. In particolare, nella catechesi dei genitori si dedichi uno o più incontri per trattare esplicitamente il tema dell’educazione dei figli all’affettività. A questo riguardo è opportuno che in Diocesi si costituisca una équipe di formatori o esperti in tale campo educativo perché si rendano disponibili a portare alle parrocchie che lo richiedono il loro contributo nell’ambito degli incontri previsti per i genitori.
Come punto privilegiato di riferimento per i contenuti catechetici dei vari cammini formativi si assuma l’enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est”. Si faccia largo uso di questo testo nelle varie occasioni di annuncio della Parola: oltre che nei diversi ambiti della catechesi, anche nell’omelia, nei ritiri spirituali o giornate di spiritualità, negli incontri di preghiera, nei centri d’ascolto, nelle conferenze, nei mezzi di comunicazione sociale (bollettini parrocchiali, lettere ai parrocchiani, settimanale diocesano, radio diocesana…).

Liturgia

La via privilegiata da proporre è quella di vivere i sacramenti, anzitutto l’eucaristia, come “l’amore realizzato” che si fa germe efficace di vita nuova: accostarsi all’eucaristia e agli altri sacramenti significa abbeverarsi alla fonte dell’Amore.
La liturgia è per sua natura un complesso di segni: il suo linguaggio è quello simbolico. Il simbolo coinvolge tutte le dimensioni della persona, compresa quella affettiva, e attraverso di esso si entra nel mistero. In questo modo la liturgia può essere una scuola che fa passare dai segni al significato, dall’amore umano all’amore divino.
Occorre puntare molto sulla centralità del giorno del Signore e in particolare sull’eucaristia domenicale, come appuntamento al quale partecipa tutta la famiglia per rinsaldare i suoi vincoli di amore nella comunione, nella condivisione, nell’impegno verso gli altri. Per facilitare la partecipazione dell’intera famiglia – specialmente delle famiglie giovani – è opportuno prevedere un servizio per l’assistenza dei piccoli durante la celebrazione. Anche l’orario delle Messe, specialmente nei giorni feriali, dovrebbe essere adattato alle esigenze della famiglia.
Allo stesso modo va incoraggiata e promossa la preghiera in famiglia: la famiglia che prega è una famiglia unita; alimentando la fede, la preghiera alimenta anche l’amore.
A livello di pietà popolare può essere fecondo valorizzare la presenza dei Santi (anche con l’elaborazione di un proprio diocesano) e soprattutto la devozione mariana: senza cadere nel sentimentalismo, è necessario che la fede conquisti il cuore e muova gli affetti perché possa mettere radici stabili nella persona.

Carità

Un’attenzione particolare della Caritas diocesana e delle Caritas parrocchiali dovrà essere rivolta a quelle forme di disagio e di povertà che colpiscono la famiglia oppure si generano dalla famiglia stessa. L’”Osservatorio delle povertà” dovrà essere particolarmente attento alle povertà della famiglia: povertà non solo economica (come il problema della casa, del lavoro, dei trasporti), ma anche sociale, affettiva, relazionale.
In collaborazione con la pastorale della salute occorre promuovere la vicinanza a chi fa esperienza della malattia, ricordando che i malati hanno bisogno non solo di cure mediche, ma anche e soprattutto di calore umano, di solidarietà, di condivisione. Lo stesso vale per le persone anziane, specialmente per quanti vivono nella solitudine: forte è il loro bisogno di affetto, né si può ignorare che queste stesse persone sono capaci di comunicare affetto e solidarietà, profittando volentieri delle occasioni che vengono loro offerte.
Un ulteriore campo di impegno della Caritas, oltre quelli tradizionali riguardanti la promozione del volontariato e del servizio civile, sarà quello della promozione, del raccordo e del coordinamento delle “Case di accoglienza”: Centro di prima accoglienza e di solidarietà, case per l’accoglienza delle donne che escono dalla “tratta”, case per la seconda accoglienza, case famiglia. In collaborazione con la pastorale familiare la Caritas diocesana vorrà anche prendere a cuore la valorizzazione della struttura “Casa famiglia” di Via delle Saline in Senigallia.

Pastorale giovanile

Abbiamo il dovere di dire ai ragazzi, agli adolescenti, ai giovani che l’amore è la verità dell’uomo perché è la verità stessa di Dio ad immagine del quale l’uomo è creato. Siamo qui chiamati all’essenziale: annunciare Cristo e il Vangelo come la via e la persona che insegnano l’amore che vince ogni solitudine e ogni morte.
Pur nel clima della società materialistica, consumistica ed edonistica in cui sono immersi, i giovani oggi sono più che mai sensibili al richiamo dell’amicizia. Declinare il Vangelo come il “manuale” che insegna ad amare diventa per loro facilmente comprensibile. A questo riguardo è importante continuare ad offrire ai giovani occasioni di incontro e di vita comune – come quelle del “Punto giovane” e delle convivenze settimanali in Seminario – proprio per scoprire il valore dell’amicizia, della condivisione, della fraternità.
Un impegno veramente urgente e indilazionabile nella pastorale giovanile è quello dell’educazione sessuale in senso autenticamente cristiano. Si tratta di presentare il messaggio cristiano in questo campo in tutta la sua bellezza e positività, tenendo anche conto, senza ingenuità e ambiguità, della realtà del peccato, dell’egoismo sempre incombente. In ordine a questo obiettivo la pastorale giovanile organizzerà opportunamente, durante l’anno, una serie di incontri con gli studenti delle scuole superiori.
Nella prospettiva della pastorale vocazionale, campo vitale della pastorale giovanile, è da incoraggiare la scelta di accompagnare le coppie per un cammino di discernimento che potrebbe durare un paio d’anni. Allo stesso tempo va continuato il servizio del Seminario minore diocesano che offre mensilmente incontri di tre giorni per un qualificato cammino cristiano; parimenti è da portare avanti l’animazione del gruppo “Samuele” che si propone di offrire strumenti per un discernimento vocazionale.
In quanto all’oratorio parrocchiale va ribadita la sua importanza, soprattutto la sua valenza educativa. L’oratorio può essere una preziosa scuola dove ci si forma alle relazioni di amicizia, di fraternità e di solidarietà. La sua apertura, laddove ancora non esiste, va presa in seria considerazione; laddove l’oratorio esiste ed è operante, va efficacemente valorizzato.
Tra le iniziative della pastorale giovanile, che richiedono un coinvolgimento di tutta la comunità diocesana, occorrerà mettere in conto la preparazione al grande raduno dei giovani italiani e stranieri che si terrà a Loreto nel 2007, a fine agosto, in preparazione alla prossima GMG. Alla nostra diocesi, come alle altre chiese marchigiane e alle chiese delle regioni limitrofe, viene chiesto di ospitare un certo numero di giovani pellegrini.

Cultura e comunicazione

La cultura e la comunicazione di oggi non aiutano relazioni mature, equilibrate: alle relazioni “faccia a faccia” si stanno affiancando e spesso sostituendo “relazioni virtuali” favorite dalle nuove tecnologie. Aumenta in maniera impressionante la circolazione dei messaggi, ma paradossalmente aumenta anche la solitudine e la depressione. Ci si rende tutti conto di quanto si è condizionati dai mezzi di comunicazione di massa nel vivere le relazioni, la vita affettiva, la sessualità.
A questo riguardo occorre proporre, con l’aiuto dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni e la cultura, occasioni di formazione per decodificare i messaggi ed educare all’uso dei media.
Sui temi delle relazioni e della vita affettiva vanno pienamente utilizzati tutti quegli strumenti belli e costruttivi (stampa periodica cattolica, audiovisivi, libri ed altro) che possono diventare una preziosa opportunità di crescita.
A proposito dei media di ispirazione cristiana non possiamo non valorizzare gli strumenti di cui dispone la nostra Chiesa locale. Il settimanale “La Voce Misena”, rinnovato nei suoi contenuti e nella sua veste grafica, può essere un prezioso strumento non solo di informazione e di formazione, ma anche di collegamento tra gli operatori pastorali: auspico vivamente che sia considerato da tutti i collaboratori pastorali come un insostituibile punto di riferimento per il cammino della nostra comunità diocesana. Anche “Radio Duomo” e la “Sala della Comunità” vanno considerati come luoghi accessibili a tutti per fare circolare idee, proposte, messaggi al fine di incarnare la fede nella cultura del nostro tempo e di promuovere un tipo di relazioni che siano ispirate al Vangelo.
Per un fecondo utilizzo di questi strumenti, ma soprattutto per l’animazione culturale delle nostre comunità parrocchiali, è quanto mai appropriata la scelta di un “animatore culturale”: è un sevizio che senza dubbio trova la sua giusta collocazione e dignità tra i ministeri di fatto della Chiesa.

Pastorale sociale

Il Vangelo dell’amore impegna a costruire la città dell’uomo, dove alla logica del potere e della competizione si sostituisce la logica del servizio e della solidarietà. La profezia che la Chiesa è chiamata ad esercitare mette in discussione ogni costruzione che non riconosca la centralità della persona e il suo bisogno di instaurare rapporti di amicizia, di collaborazione, di fraternità.
La Chiesa locale non può non offrire il suo contributo nell’affrontare i problemi che la famiglia incontra per quanto riguarda il lavoro (precarietà del lavoro, soprattutto nella fascia giovanile; difficoltà di conciliare gli orari di lavoro, specie il lavoro festivo, con la vita familiare; penalizzazione della donna nell’occupazione), la casa (difficoltà di trovare alloggio e costi elevatissimi per le nuove coppie), l’assistenza agli anziani, il servizio di asilo ai piccoli. Sembra necessario stabilire e/o intensificare il rapporto con gli enti pubblici per sollecitare una vera e propria politica della famiglia, oggi per lo più inesistente. Su questi problemi la comunità cristiana è chiamata a fare la sua parte per sensibilizzare l’opinione pubblica.
Per promuovere efficaci iniziative sul piano sociale e politico a favore della famiglia sembra necessario operare “in rete”: è auspicabile che anche da parte della nostra comunità diocesana si aderisca al “Forum delle associazioni familiari”.

Conclusione

Affido le presenti linee programmatiche per l’anno 2006-2007 alla mente, al cuore ed alle mani di tutta la Chiesa di Senigallia. Non si tratta di una somma di oneri o di adempimenti, ma dell’itinerario della nostra Chiesa locale.
Nessun operatore pastorale e nessuna comunità prescinda da questi orientamenti: sappiamo bene che i cammini solitari, forse anche originali, che prescindano dalla comunione, rimangono sterili, non costruiscono la Chiesa.
Invito le parrocchie ad accogliere e discutere le indicazioni di questa Lettera nei Consigli Pastorali allo scopo di specificarle e realizzarle nell’ambito di ogni comunità. Invito anche le associazioni e i movimenti ecclesiali, in primo luogo l’Azione Cattolica, ad inserirsi pienamente nel percorso della Chiesa locale, portando ciascuno, secondo il proprio carisma, un contributo di riflessione e di operatività.
Su tutte le famiglie del nostro territorio e su tutti i figli e le figlie della nostra Chiesa locale invoco copiosa la benedizione del Signore, per intercessione della Madonna della Speranza.

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