La quarta domenica di Quaresima è nota come la “domenica della gioia”. A parlare di gioia è anzitutto l’antifona d’ingresso della Messa: «Rallegrati Gerusalemme, e voi tutti che l’amate radunatevi. Sfavillate di gioia con essa, voi che eravate nel lutto. Così gioirete e vi sazierete al seno delle sue consolazioni».
La liturgia ci spiega anche la ragione della gioia a cui siamo invitati: la gioia è possibile nella nostra vita “ferita dal male”, grazie a Dio, alla sua azione nella storia degli uomini.
Le tre Letture – il testo del secondo libro delle Cronache, il testo della Lettera di Paolo ai cristiani di Efeso, il teso del vangelo di Giovanni – concordano che a provocare e guidare l’azione di Dio è l’amore.
La prima Lettura (2Cr 36,14-16.19-23) parla della “compassione” di Dio per un popolo, quello d’Israele, che “moltiplica le proprie infedeltà”, “ha contaminato il tempio” e “disprezza la sue parole”, “scherniscono i suoi profeti”, tanto da provocare la sua dura reazione (il testo parla di “ira del Signore che raggiunge il culmine e senza rimedio”), che si concretizza nel consentire ai nemici d’Israele (i Caldei) di distruggere Gerusalemme e di deportare la popolazione a Babilonia, dove resterà in schiavitù per 70 anni.
Nella prima parte del racconto sembrerebbe che l’ira di Dio prevalga sulla sua compassione. In realtà, nel proseguimento del racconto veniamo a sapere che Dio stesso interverrà su Ciro, il re persiano che ha sconfitto i Babilonesi, perché permetta agli esuli d’Israele di ritornare a Gerusalemme e ricostruire la città.
L’apostolo Paolo nella seconda lettura (Ef 2,4-10) parla del “grande amore con il quale Dio ci ama”, un amore che “ci ha fatto rivivere con Cristo”, noi che “eravamo morti per le colpe”.
Paolo fa ricorso a un termine collegato all’amore – la grazia – per indicare il “propulsore” dell’azione di Dio a nostro favore: “per grazia siete stati salvati”. L’azione di Dio, totalmente gratuita (“per grazia”) rivela la straordinaria ricchezza del suo amore e culmina nell’abilitarci al compimento delle “opere buone che Dio ha preparato per noi” e nel renderci partecipi della risurrezione di Cristo (“con lui ci ha anche risuscitati”).
Giovanni nel vangelo (3,14-21) riporta il culmine del dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, uno dei “capi dei Giudei”: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (3,16). Il Figlio, prosegue Gesù, è stato mandato nel mondo non per eseguire una condanna, ma per offrire una salvezza.
Gesù ricorda a Nicodemo e a noi che la salvezza offerta dal Padre attende di essere da noi accolta (“chi crede in lui non è condannato”) e chiarisce che a emettere il giudizio di condanna non è il Padre che lo ha mandato né lui che ha ricevuto il mandato da parte del Padre di salvare il mondo, ma il nostro rifiuto (“chi non crede è già stato condannato”).
I testi della parola di Dio proclamati nella Messa di questa domenica, se da un lato ci offrono la ragione che costituisce un fondamento sicuro per la nostra gioia – l’amore di Dio Padre che si prende cura gratuitamente di noi “che siamo morti per le (nostre) colpe”, dall’altro ci avvertono della tragica possibilità che abbiamo di sottrarci a questa cura, di rifiutare, in tanti modi, la luce di questo amore, di questa grazia. Questo accade quando “amiamo più le tenebre della luce”, quando le opere che compiamo sono “malvagie”, perché non sono quelle che “Dio ha preparato per noi”.
Per evitare che questa possibilità diventi una tragica realtà, al Dio, “ricco di misericordi, che nel suo Figlio, innalzato sulla croce ci guarisce dalle ferite del male”, abbiamo chiesto di “donarci la luce della sua grazia” (preghiera della Colletta) e di “far risplendere su di noi la luce della sua grazia” (preghiera dopo la comunione), perché “possiamo corrispondere pienamente al suo amore di Padre” (preghiera della Colletta) e perché “i nostri pensieri siano conformi alla sua sapienza e possiamo amarlo con cuore sincero” (preghiera dopo la comunione).
Facciamo in modo che la nostra non resti solo una richiesta a Dio, ma diventi decisione concreta della libertà, del cuore, presa ogni giorno, di consentire all’amore di Dio, alla sua grazia di “guarirci dalle ferite del male” e di guidarci a compiere le “opere buone”, quelle che, proprio perché “conformi alla sapienza” del Dio ricco di misericordia, assicurano serenità e gioia.