“Donaci la ricchezza della tua grazia”, questa è la richiesta fatta al Dio “fedele e buono” nella preghiera della Colletta, una richiesta che riprende quanto l’apostolo Paolo scrive ai cristiani di Efeso dove parla della “straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo”.
La grazia che chiediamo ha a che fare con la buona disposizione di Dio (“il suo eterno e sconfinato amore”) nei confronti degli uomini, una buona disposizione che si esprime nella storia degli uomini.
Nella prima lettura, tratta dal secondo libro delle Cronache (2Cr 36,14-16.19-23), Dio crea le condizioni perché Israele, schiavo da tanto tempo a Babilonia, possa tornare in libertà e ricostruire in Gerusalemme il tempio del Signore.
Nella seconda lettura (Ef 2,4-10), Paolo scrive che Dio non solo “fa rivivere” gli uomini, prigionieri della morte “per le loro colpe”, ma anche li “fa sedere nei cieli”, con Gesù. Tutto questo “per la sua bontà verso di loro”, manifestata da Cristo Gesù.
Nel vangelo (Gv 3,14-21) Gesù rivela a Nicodemo che Dio suo Padre ama gli uomini, non li vuole perdere, consegnati alla morte; per questo “manda nel mondo” il Figlio amato.
La richiesta a Dio della “ricchezza della sua grazia”, ha una ragione: “perché possiamo corrispondere al suo eterno e sconfinato amore di Padre”. Nel vangelo, questa risposta che Dio si attende da noi, si chiama fede. Lo dice chiaramente Gesù: chiunque crede (accoglie) il Figlio mandato dal Padre ha la vita eterna.
Le parole che Gesù rivolge a Nicodemo conducono al cuore dell’esperienza cristiana, dove troviamo l’azione di Dio a favore dell’uomo e la decisione che l’uomo deve prendere nei confronti di quanto Dio compie per lui.
L’azione che Dio compie a favore degli uomini ha un nome (Gesù, il Figlio unigenito, amato); si caratterizza come consegna del Figlio, una consegna dal risvolto drammatico e salvifico della morte in croce del Figlio («bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo»); è ispirata da un sorprendente amore («Dio ha tanto amato il mondo…»); ha un unico scopo: l’accesso alla vita piena e definitiva (“eterna”) degli uomini («..perché abbiano la vita eterna»).
La decisione dell’uomo può esprimersi come fede o come incredulità. L’uomo che crede fa la verità; viene alla luce; ha la vita eterna; le sue opere sono compiute in Dio. L’uomo che non crede è già condannato, ama le tenebre, odia la luce, non viene alla luce.
La conversione cui siamo insistentemente invitati nel tempo quaresimale si caratterizza come un diventare credenti nel Dio, Padre di Gesù, che ama gli uomini e in Gesù, il Figlio, che accetta di essere innalzato sulla croce, perché ogni uomo sappia di essere amato da Dio suo Padre.
Nella consapevolezza che solo così noi operiamo la verità, raggiungiamo la verità di noi stessi, riscattiamo la nostra esistenza dalla menzogna e le nostre opere risultano “buone”, perché portatrici di vita e non di morte.