IV domenica di Pasqua 2016. Pellegrinaggio giubilare alla Cattedrale delle Parrocchie della Vicaria di Chiaravalle

Gesù parla del rapporto instaurato tra lui, il pastore buono, e le pecore. Le pecore ascoltano la sua voce, lo seguono; lui le conosce, dona loro la vita eterna e le difende da chi vuol rapirle. Descrive poi il suo rapporto con il Padre, un rapporto intenso («Io e il Padre siamo una cosa sola»), rassicurante per le pecore, perché gli sono state affidate dal Padre («Il Padre mio che me le ha date») e sono difese dal Padre stesso («nessuno può strapparle dalla mano del Padre»).

Dalle parole di Gesù emerge la qualità della relazione con le pecore: queste “ascoltano la voce” di Gesù e lo “seguono”. Per le pecore la voce di Gesù è quella del Salvatore che non inganna; la sua parola è la parola del Figlio, al quale il Padre ha affidato tutto.

Gesù, da parte sua, “conosce” le pecore. Precedentemente Gesù aveva detto: «Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me».

Nella S. Scrittura il verbo “conoscere” dice presenza intima, da persona a persona, accoglienza e reciproca fiducia, comunione di cuore e di pensiero; essa è piena di affetto, di simpatia, di sentimento d’appartenenza reciproca accettata e amata. Fra Gesù e le pecore esiste, quindi, un legame profondo, costruito sull’ascolto da parte delle pecore delle parole di Gesù («le mie pecore ascoltano la mia voce») e sulla conoscenza delle pecore da parte di Gesù («io le conosco»). Tra Gesù e le pecore esiste un legame di reciproca conoscenza, che li unisce profondamente.

Gesù non conosce solo le sue pecore, ma “da’ loro la vita eterna”. L’offerta di Gesù della vita in pienezza (“eterna”) alle pecore pone queste in una situazione di definitiva salvezza («non andranno mai perdute») e di sicurezza («nessuno le rapirà dalle mie mani»).

Nella cura per le pecore “convergono” il Padre e Gesù: il Padre donando le pecore a Gesù e prendendo le loro difese («nessuno può strapparle dalla sua mano»), Gesù, offrendo la vita eterna.

Il testo evangelico presenta l’esperienza della fede come relazione profonda e decisiva tra Gesù e noi, suoi discepoli, una relazione che assume la forma di un’alleanza, dove ognuno porta del suo. Gesù porta la sua “conoscenza” dei discepoli, la sua cura per loro, che si esprime nel dono della propria vita e nell’offerta della sua relazione col Padre (la vita eterna), nel custodirli. I discepoli portano il proprio ascolto che si esprime come apprezzamento dell’offerta di Gesù, del suo interesse per loro, come riconoscimento dell’affidabilità delle sue promesse, come fiducia in lui.

Questa “alleanza” tra Gesù e noi è propiziata e custodita dal Padre, il quale ci affida al Figlio, perché sa che siamo in buone mani e invita noi ad accogliere il Figlio, perché abbiano la vita in abbondanza.

Da parte nostra si tratta di custodire e alimentare ogni giorno questa buona relazione, quest’alleanza col Signore, dando credito alle sue parole di pastore buono e affidabile, accogliendo il dono della sua vita, lasciandoci conoscere e guidare da lui ai pascoli pieni di vita della comunione con Dio.

Siamo entrati in Cattedrale, passando per la porta santa. Gesù stesso si è presentato come la porta delle pecore, attraversano la quale si trova il pascolo della vita piena, della salvezza (cfr Gv 10, 9). Questo ingresso dice la nostra disponibilità a lasciarci amare dal Pastore buono, quel Pastore che ci conosce e ci chiama per nome, si prende cura di noi fino a offrire la propria vita. Dice Anche il nostro impegno a seguirlo, ad ascoltare la sua voce.