Intervento al Convegno diocesano Caritas (25 marzo 2017)

Il riconoscimento del legame fraterno all’origine di ogni gesto di carità

  1. Quando il legame di sangue non basta a salvaguardare il legame fraterno

La fraternità del “sangue e basta” spesso diventa causa di ingiustizie, recriminazioni, violenze.

  • Caino e Abele (Gn 4)
  • L’irritazione e la tristezza di Caino: «Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto» (vv 4-5)
  • Il fratricidio: «Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (Gn 4,8)
  • La risposta alla domanda di Dio («Dov’è Abele, tuo fratello?»). Il senso della domanda di Dio a Caino: «dov’è tuo fratello rispetto a te e dove sei tu rispetto a tuo fratello?». La domanda di Dio richiama Caino a una responsabilità. La risposta di Caino: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Caino si rifiuta di assumersi la responsabilità del fratello; sembra anche scaricare la responsabilità su Dio stesso: non sei tu il padre di tutti, che si prende cura di ogni uomo, il custode di mio fratello?
  • Giuseppe e i suoi fratelli (Gn 37-45)
  • L’odio dei fratelli verso Giuseppe. Il motivo scatenante:

+ il comportamento del padre, Giacobbe: «I suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non riuscivano a parlargli amichevolmente» (Gn 37,4)

+ il comportamento di Giuseppe. Il racconto dei due sogni, dove emerge il senso di superiorità di Giuseppe nei confronti dei fratelli (cfr Gn 37,5-11). La reazione dei fratelli: «I suoi fratelli perciò erano invidiosi» (Gn 37,11)

  • L’iniziale decisione di eliminarlo («Si dissero l’un l’altro: “Eccolo!, E’ arrivato il signore dei sogni! Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna!”», Gn 37,19).

La successiva decisione di venderlo («Passarono alcuni marcanti madianiti: essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto», Gn 37,28)

  • L’atteggiamento di Giuseppe nei confronti dei fratelli, che chiedono cibo: «Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma fece l’estraneo verso di loro, parlò loro duramente e disse: «… Voi siete spie! Voi siete venuti per vedere i punti indifesi del territorio… E li tenne in carcere per tre giorni» (Gn 42,8-17).
  • Il figlio maggiore della parabola (cfr Lc 15,1-32)

– il risentimento manifestato al padre nei confronti del fratello che ha sperperato i beni paterni: «Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute…» (Lc 15,30)

  1. Per il recupero del legame fraterno. Il riconoscimento del padre comune
  • Giuseppe: «Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostanti e gridò: “Fate uscire tutti dalla mia presenza!” così non restò nessun altro presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. e proruppe in un grido di pianto… Giuseppe disse ai suoi fratelli: “Io sono Giuseppe! E’ ancora vivo mio padre?… sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto”» (Gn 45,1-4).

La fraternità naturale, quella “del sangue”, che legava Giuseppe ai suoi fratelli era morta con il capretto nel cui sangue i fratelli avevano intinto la tunica di Giuseppe per simularne la morte di fronte al padre Giacobbe (37,31). Ora Giuseppe e i suoi fratelli sono in grado di ricostituire il legame fraterno che risorge dalla morte della fraternità del sangue. Nel pianto di Giuseppe, accanto alla parola fratello troviamo anche la parola padre (“È ancora vivo mio padre?”).

Altri episodi racconti da libro della Genesi documentano la ricostruzione del legame fraterno attorno al padre: Isacco e Ismaele si rincontrano al capezzale di Abramo(cfr Gn 25,9), Esaù e Giacobbe a quello di Isacco (cfr Gn 35,29).

  • Il figlio maggiore della parabola (cfr Lc 15,25-32). Il padre si muove anche verso il figlio maggiore: esce di casa, gli rivolge una supplica chiamandolo con un termine affettuoso – teknon – che indica intimità, gli fa comprendere che non gli è stato tolto nulla di quanto gli spetta («ciò che è mio è tuo»), che ha potuto beneficiare della presenza del padre («Tu sei sempre con me»), che il figlio ritornato resta sempre suo fratello («Tuo fratello») e che questo non è il momento di valutare secondo la giustizia, perché è il momento della gioia e dell’amore. Per questo “si deve” fare festa («bisognava far festa e rallegrarsi»).
  • L’ esempio e l’istruzione di Gesù
  • Nella Lettera agli Ebrei. Gesù, il Figlio che il Padre introduce come “primogenito nel mondo” (Eb 1,6), non solo non si vergogna di chiamarci fratelli” (cfr Eb 2,11), perché riconosce che Lui e gli uomini “provengono tutti da uno solo” (il Padre), ma anche perché «si rende in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17)
  • «Mentre egli parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli.Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,46-50). Anche per Gesù il comune riferimento al Padre, che si esplicita nel compiere la sua volontà (= corrispondere al dialogo di alleanza con Lui), genera il legame fraterno.
  • «voi siete tutti fratelli» (Mt 23,12).Il legame fraterno di cui parla Gesù non deriva “dal sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo” (cfr. Gv 1,13), perché è un legame donato dall’alto. Condizione di partenza da riconoscere nelle relazione con l’altro.

Conclusione

Anche chi opera nell’ambito della carità può trovarsi in difficoltà nei confronti di chi lo interpella e chiede aiuto. Non sempre di fronte alla situazione di bisogno, di povertà, delle persone riusciamo a superare le nostre paure e le nostre resistenze. Per questo non basta partire dal bisogno, dalle necessità delle persone per decidere di soccorrerle.

Dal grande racconto biblico che culmina con l’affermazione di Gesù («Voi siete tutti fratelli») l’invito a considerare ciò che dovrebbe venire prima, nella nostra valutazione, del bisogno dell’altro e che ci impegna ad andare in suo aiuto: il riconoscimento di un legame originario, quello fraterno, perché “figli” di un unico Padre, quello di Gesù.

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