Inizio del ministero pastorale di don Giancarlo Cicetti (parroco) e don Maurizio Gaggini (collaboratore parrocchiale) nelle parrocchie di Belvedere e Morro d’Alba (domenica, 9 Settembre 2018)

«O Padre… guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione (cioè noi), perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna».

Questa la preghiera che abbiamo rivolto al Padre, prima di ascoltare la sua parola, nella quale gli abbiamo chiesto di “guardarci con benevolenza”, perché  “ci sia data la vera libertà”. Non abbiamo chiesto semplicemente la libertà ma la libertà “vera”, quella che non inganna, non delude. Dietro la richiesta sta certamente la consapevolezza che non si può vivere bene senza libertà, che la libertà è un diritto fondamentale di ogni persona, ma sta anche l’esperienza che ci si può ingannare riguardo a ciò che ci rende veramente liberi, che ci garantisce una libertà autentica. Di questi tempi poi c’è molta confusione riguardo alla libertà: è dichiarata universalmente come un diritto di tutti; il consenso universale viene meno quando si tratta di riconoscere gli indicatori della libertà vera.

Per avere un po’ più di chiarezza riguardo alla “vera libertà” accostiamo testi della parola di Dio appena proclamati. Un primo rilievo: a Dio, a Gesù stanno a cuore la nostra libertà.

Dio invita il profeta Isaia (cfr I Lettura, Is 35,4-7a)  a fare coraggio a coloro che sono “smarriti di cuore”, che sono prigionieri della paura, dello smarrimento, dello scoraggiamento, con la promessa che interverrà per restituire una vita non più minacciata dal male (“egli viene a salvarvi”). Il riferimento ai ciechi che ritornano a vedere e ai sordi che saranno un grado di udire le parole che sono loro rivolte, dice che l’intervento di Dio riguarda una situazione irrimediabile da parte dell’uomo (a quei tempi la cecità e la sordità erano malattie inguaribili) e che dona un’autentica libertà, perché mette l’esistenza delle persone nelle condizioni di esprimersi pienamente.

Nel vangelo Gesù (cfr Mc 7,31-37) si prende cura di un sordomuto e lo mette nuovamente in condizioni di tornare a udire e a parlare. Anche qui il sordomuto può rappresenta un simbolo di un sordità e di una incapacità a comunicare, a parlare, che non segnalano solo una malattia del corpo, ma anche dell’animo.

Oggi siamo in grado di provvedere, a volte in modo soddisfacente, a queste due malattie che ci colpiscono nel corpo, ma spesso non siamo in grado di provvedere all’incapacità di ascoltarci e di comunicare tra di noi. Oggi comunichiamo molto tra noi, ma ci ascoltiamo poco; spesso le parole della nostra comunicazione sono parole aggressive, violente, derisorie. Siamo diventati un po’ tutti dei sordomuti.

Gesù desidera restituirci la libertà di un ascolto sereno, pieno di fiducia, una comunicazione dove le parole non sono spade che feriscono con la calunnia, il pettegolezzo, la derisione, ma favoriscono una reale e pacifica comunicazione, dove si condivide il proprio modo di vedere le cose, di affrontare le situazioni.

Quanto l’apostolo Giacomo scrive nella sua Lettera (II Lettura, Gc 2,1-5) costituisce un esempio concreto e attuale di quella vera libertà donata da Dio, quella libertà che ci mette al riparo dai “favoritismi personali”, (parenti stretti degli interessi personali), quelli che ispirano il nostro atteggiamento pieno di premura di fronte alle persone che contano, sono importanti, celebri e la nostra insofferenza (che si esprime spesso con aggressioni verbali e a volte anche fisiche) di fronte a chi è povero e chiede aiuto. La denuncia di Giacomo non è ispirata da quel “buonismo” imputato a chi cerca di dare una mano a queste persone, ma dalla scelta di Dio (“Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo…?”).

Noi, i figli di Dio, non possiamo rimanere “sordi” di fronte a queste parole. Per questo se scopriamo in noi qualche resistenza che ci chiude all’ascolto del povero chiediamo al Signore di liberarcene.

I testi della parola di Dio di questa domenica, nella quale le comunità di Belvedere e Morro accolgono don Giancarlo e don Maurizio come pastori, illustrano bene la loro presenza e il loro servizio in queste comunità parrocchiali. Don Giancarlo e don Maurizio sono chiamati, come il profeta Isaia, a incoraggiare gli smarriti di cuore, a essere collaboratori di Gesù nella sua azione che restituisce alla nostra vita la vera libertà, a ricordare, come l’apostolo Giacomo, quali sono le scelte di Dio a cui ispirare le nostre scelte, i nostri atteggiamenti.

Questo è l’augurio che noi tutti rivolgiamo a don Giancarlo e a don Maurizio, un augurio che accompagniamo con la preghiera, con la disponibilità a offrire una collaborazione generosa e libera da tutto ciò che la potrebbe inquinare.