Non tutti i doni che riceviamo nella nostra vita guadagnano lo stesso apprezzamento e la stessa cura. La cura con cui custodiamo un dono dice quanto quel dono è stato gradito, ci ha rallegrato, perché ha fatto ripartire una relazione, ha ridato slancio alla nostra vita. A quei doni ritorniamo spesso con il ricordo, li abbiamo presenti, spesso son in bella mostra nella nostra casa. Basta un sguardo e sembra riaccadere nel nostro cuore l’emozione, lo stupore di quando lo abbiamo ricevuto.
Diversamente ci sono doni che sono finiti velocemente in un cassetto, perché non graditi, non apprezzati, spariti dalla nostra vista, non più presenti al cuore, anzi, a volte anche ingombranti.
L’Apostolo Paolo, nel testo proposto dalla seconda lettura, raccomanda al discepolo Timoteo di custodire con cura il dono di Dio ricevuto (il ministero), come “bene prezioso che gli è stato affidato”, un custodia, quella suggerita dall’Apostolo, che deve “ravvivare” il dono, metterlo in condizione di continuare a offrire i benefici di cui è portatore. Nelle parole di Paolo il dono ricevuto da Timoteo non risulta tra quelli da abbandonare nel cassetto della dimenticanza, ma da custodire nel cuore e tenere bene in vista, perché è un “bene prezioso” per la sua vita e per la vita degli altri.
L’esortazione di Paolo risulta preziosa anche per te, don Mauro, che stai per iniziare il tuo ministero nelle comunità di Monte Porzio: riconoscilo come il “bene prezioso” che il Signore ti ha affidato, il dono che hai ricevuto da Lui, espressione del suo amore per te. Il ministero non è un contenitore vuoto, perché porta con sé le persone, con la loro storia, le loro gioie e amarezze. Sono proprio queste persone che il Signore ti affida da oggi “il bene prezioso” da custodire. Una custodia che non è quella del servo della parabola, il quale per paura ha nascosto nella terra il talento ricevuto, ma una custodia che ravviva il dono, lo mette in condizione di portare i frutti buoni che lo fanno apprezzare agli occhi del Signore e della gente. I frutti buoni che il ministero è in grado di offrire sono la fede che riconosce l’amore ricco di misericordia con cui il Padre di Gesù e nostro circonda la nostra persone e guida la nostra vita e l’amore; la fede che segue Gesù, accoglie con fiducia il suo Vangelo, la lieta notizia per la nostra vita; e l’amore, che apre il nostro cuore alle persone che condividono con noi la vita, con le sue gioie e le sue fatiche, soprattutto a chi in è povero, bisognoso di tanti aiuti.
Gesù nel vangelo ci ricorda che nel servizio che Lui ci affida siamo “servi inutili”, non perché le nostre prestazioni non servono a nulla, ma perché non dobbiamo comportarci da padroni, del vangelo, della gente, perché siamo “collaboratori della loro gioia, non padroni della loro fede” e perché nell’esercizio ministero non dobbiamo cercare il nostro utile, quello che decidiamo noi, ci appaga facilmente (espressione di quella mondanità spirituale che Papa Francesco spesso denuncia), ma ciò che serve il vangelo, aiuta le persone a riconoscere di essere amate dal Signore, a prestargli l’ascolto obbediente e fiducioso, a voler bene e essere generose, “in uscita” da sé, dai propri egoismi e dalle proprie paure.
L’augurio che, anche a nome delle persone di Monteporzio, ti faccio è che il tuo ministero, sia “ravvivato” ogni giorno dalla gratitudine del dono ricevuto e dal desiderio di essere il collaboratore della gioia della tua gente, un gioia alimentata dalla consapevolezza di essere amata dal Signore, di conservata dall’ascolto della sua Parola che “fa ardere” i cuori e indica il percorso di una vita bella, buona e felice.
Il nostro è un augurio che diventa preghiera a Gesù il Pastore buono, perché porti a compimento l’opera buona del servizio pastorale che oggi inizi in questa comunità.