III domenica Tempo Ordinario (24 gennaio 2021)

«Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta», con queste parole Giona avverte gli abitanti di Ninive sulla minaccia che in combe sulla città; «il tempo si è fatto breve», ricorda Paolo alla comunità di Corinto; «Il tempo è compiuto», annuncia Gesù all’inizio del suo ministero in Galilea. Nei tre testi della Parola di Dio. proclamata nella terza domenica del tempo ordinario, troviamo il riferimento al tempo.

Per gli uomini il tempo rappresenta l’orizzonte in cui scorre la vita, nel quale ci si sposa, si mettono al mondo i figli, si piange, si gioisce, si fanno affari e si usano i beni che il mondo mette a disposizione; un orizzonte limitato, “che si fa breve”, che appare sempre troppo “breve” rispetto a quanto desideriamo fare, dal quale a un certo punto ci si commiata; un orizzonte fatto di attese, di delusioni, di sconfitte, di obiettivi raggiunti…

Oggi poi il nostro rapporto con il tempo appare paradossale, sconcertante: mai come oggi abbiamo avuto così tanto tempo libero a nostra disposizione e mai come oggi siamo a disagio nell’abitare il tempo. La ragione del disagio è la mancanza di tempo che frequentemente lamentiamo. Viviamo alla rincorsa del tempo che non ci basta mai. Ci manca sempre tempo per portare a termine i nostri progetti.

La pandemia, con la quale conviviamo ormai da quasi un anno, ci sta costringendo a cambiare il nostro rapporto con il tempo: la riduzione dei movimenti (pensiamo alle rigide restrizioni prescritte per la cosiddetta zona rossa) ci consente di avere più tempo a disposizione, per noi stessi, per le relazioni familiari, per la relazione con Dio. Non basta però avere questa possibilità, come tutte le possibilità, anche questa ci chiede di utilizzarla al meglio. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ci sollecita a “dare priorità al tempo”, rispetto allo spazio, agli spazi della nostra esistenza e spiega cosa comporta concretamente questa priorità: «occuparsi di iniziare processi…privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici» (n 223).

I “processi” da avviare e le azioni che “generano nuovi dinamismi nella società” costituiscono quei “frutti generosi di opere buone” che desideriamo compiere “nel nome del diletto Figlio di Dio”, Gesù (così abbiamo pregato nella preghiera della Colletta).

E proprio Gesù, all’esordio del suo ministero pubblico annuncia che “il tempo è compiuto”. Di che tempo si tratta? A che tempo fa riferimento Gesù? In prima istanza Gesù fa riferimento all’attesa del popolo di un Messia, di un liberatore. Possiamo pensare anche al tempo degli uomini, sempre segnato dall’attesa di un compimento di quanto c’è nel loro cuore, di qualcuno che dia risposta alle loro solide speranze.

Gesù annuncia che questo tempo è  “compiuto”, perché non è più abitato solo dagli uomini, ma anche da lui e che la sua è un presenza che dà speranza perché liberante (dopo questo annuncio e la chiamata dei discepoli, Gesù guarirà molti malati e ingaggerà un aspro scontro con i demoni da cui uscirà vincitore). Per questa ragione Gesù invita i suoi uditori a dare credito a questa sua bella notizia (“credete al vangelo”) e ad avviare un processo di cambiamento (“convertitevi”).

Gesù non annuncia che il tempo dell’attesa degli uomini è concluso, ma compiuto. Quello degli uomini resta un tempo in cui ci si continua a sposare, a soffrire e a gioire, ad acquistare e a usare i beni, ma dentro un orizzonte nuovo, diverso da quello del tempo che scorre, perché condiviso con Gesù, il quale ci rivela il senso di quanto compiamo nel tempo, ci indica come non subire il tempo che scorre e che finisce per sottrarci proprio quelle persone con le quali condividiamo il tempo limitato della vita, quei beni ai quali chiediamo di darci serenità e sicurezza. Con Gesù vicino la vita non è più la stessa. Se piango scopro che qualcuno mi consolerà, se gioisco, scopro che le gioie nel tempo che scorre, sono precarie, ma anche anticipatrici di quella gioia che niente e nessuno mi potrà sottrarre, perché preparata da Gesù per i suoi amici. Anche le nostre relazioni, delle quali quella sponsale rappresenta la forma paradigmatica, non si perderanno, travolte dal tempo che scorre inesorabile.

E’ alla luce dell’invito di Gesù ad avere fede che va letto l’invito dell’apostolo Paolo ascoltato nella seconda lettura: Paolo non ci sollecita a fingere, ma a vivere le relazioni, le situazioni dell’esistenza, a trafficare, a utilizzare i beni, non restando prigionieri del limitato orizzonte del nostro tempo che si abbrevia inesorabilmente, a rinunciare alla pretesa di essere noi coloro che sanno dare senso compiuto all’esistenza con tutto quello che la abita, la riempie, a dare credito a Gesù, a lasciarci istruire da lui sul senso della vita nel mondo, delle relazioni che vi viviamo e dei beni che tentiamo di procurarci. Questo rappresenta quel processo di conversione sollecitato da Gesù stesso.