“Le tue parole, Signore, sono spirito e vita”. Con queste parole, ripetute da noi più volte, dopo avere ascoltato la prima lettura, abbiamo riconosciuto l’impatto positivo che le parole del Signore hanno sulla nostra esistenza. Un impatto illustrato dal salmo responsoriale (Sal 18), dove il salmista riconosce che “la legge del Signore rinfranca l’anima, la testimonianza del Signore rende saggio il semplice… i precetti del Signore fanno gioire il cuore… il comando del Signore illumina gli occhi”. Il salmista chiarisce anche il motivo del suo apprezzamento: i precetti del Signore sono “retti, fedeli e giusti”, cioè non ingannano, non tradiscono riguardo alle promesse che offrono.
Anche il testo di Neemia, proclamato nella prima lettura (Ne 8,2-4a.5-6.8-10), conferma l’affidabilità della parola del Signore. Il sacerdote Esdra, coadiuvato dai leviti, legge e spiega il libro della legge a un popolo smarrito e sfiduciato di fronte alle difficoltà nella ricostruzione di Gerusalemme dopo il rientro dall’esilio in terra di Babilonia. I gesti compiuti dal popolo di fronte al libro della legge (“il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge… come Esdra ebbe aperto il libro tutto il popolo si alzò in piedi… si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore”), la prolungata lettura del libro (“dallo spuntare della luce fino a mezzogiorno”) dicono la grande fiducia del popolo d’Israele nel Signore, nella sua parola.
Esdra e i leviti non si limitano a leggere e spiegare il libro della legge, ma rivolgono anche al popolo un duplice invito. Lo sollecitano, anzitutto, a “non fare lutto, a non essere tristi”, perché “la gioia del Signore è con loro”. Nell’invito dei leviti la gioia del Signore può costituire un antidoto efficace alla tristezza del popolo e rappresentare un suo punto di forza. Di che gioia si tratta? Anzitutto della gioia che il Signore prova nei confronti di quel popolo di reduci dalla schiavitù di Babilonia. A rendere felice Dio non sono le cose, ma le persone, un popolo. Dio gioisce grazie a Israele, a motivo d’Israele. È possibile anche una seconda lettura: si tratta della gioia che Israele prova nel sentirsi amato, soccorso, dal Dio liberatore. Israele trova nella gioia del suo Dio la forza che gli consente di superare la tristezza, di proseguire il proprio cammino, senza cedere allo scoraggiamento, senza paura.
C’è poi un secondo invito: i leviti spingono le persone ad agire, a compiere gesti di comunione (“mangiare e bere”) e di condivisione con chi si trova in difficoltà («mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato»).
Anche nella Sinagoga di Nazareth, come racconta il vangelo (Lc 1,1-4; 4,14-21), viene letta e spiegata la parola di Dio riportata dal profeta Isaia. E’ Gesù stesso a leggere e a commentare alle persone presenti nella sinagoga un testo del profeta Isaia che parla di un inviato dallo Spirito del Signore a “portare ai poveri il lieto annuncio… proclamare ai prigionieri la liberazione… ai ciechi la vista… rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”. Il brevissimo commento di Gesù («Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato») chiarisce che è lui l’inviato dallo Spirito del Signore per portare agli uomini “il lieto annuncio” di una liberazione offerta agli uomini che fa ripartire la loro esistenza bloccata dalla tante schiavitù che la umiliano.
Le parole di Esdra e di Gesù ci consentono di comprendere ancora di più non solo la portata delle parole rivolte al Signore come ritornello del salmo responsoriale: «Le tue parole, Signore, sono spirito e vita», ma anche la responsabilità che abbiamo di ascoltarle, di accoglierle.
La consapevolezza di questa responsabilità ha ispirato la nostra richiesta nella preghiera della Colletta a Dio che ci ha convocati nel giorno a lui consacrato (la domenica), “perché il suo Figlio annunci ancora (anche a noi) il suo Vangelo: «fa’ che teniamo i nostri occhi fissi su di lui, e oggi si compirà in noi la parola della salvezza».