III Domenica di Pasqua (26 aprile 2020)

La prima Lettura (At 2,14a.22-33) e il vangelo (Lc 24,13-35) propongo due racconti della vicenda di Gesù, in particolare della sua morte e risurrezione, quello di Pietro, proposto dal libro degli Atti degli Apostoli, nel giorno di Pentecoste e quello di Cleopa, riportato dall’evangelista Luca, nel primo giorno dopo il sabato, proprio il giorno della risurrezione di Gesù.
Entrambi i racconti parlano di Gesù di Nazareth, di quello che è lui è stato (“uomo accreditato da Dio presso il popolo d’Israele”, nel racconto di Pietro; “profeta potente in opere e parole di fronte a Dio e a tutto il popolo”, nel racconto di Cleopa), di quello che ha operato (“miracoli, prodigi, segni”, nel racconto di Pietro) e della sua morte e risurrezione.
I due racconti si differenziano nel riferire della morte e risurrezione di Gesù: mentre il discorso di Pietro è più esteso, quello di Cleopa è più scarno. Pietro dichiara che la risurrezione di Gesù è opera di Dio («Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte»), che era stata “preannunciata” dal re Davide («Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di fa sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Gesù e ne parlò: “questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì corruzione”»), parla del dono dello Spirito Santo promesso («dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere»). Cleopa invece segnala solo lo sconcerto dei discepoli di fronte alla notizia portata da alcune donne che Gesù sarebbe risorto e il fatto che non Gesù non si trova più («… ma lui non l’hanno visto»), con l’amara confessione («noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele»).
Il racconto di Pietro è il racconto del testimone che non si limita a fare la cronaca dei fatti accaduti, ma offre anche la chiave di lettura, di comprensione dei fatti; il racconto di Cleopa è solo una cronaca sconsolata , triste dell’accaduto con l’inevitabile e altrettanto amara conclusione della loro speranza delusa.
Ci lasciamo subito interpellare dai due racconti: la mia vita, la pratica della mia fede, cosa raccontano di Gesù? raccontano di un Gesù risosto, che ha sconfitto la morte (quella che aggredisce il nostro corpo e le tante morti che spengono le nostre speranze) o raccontano di un Gesù, che pire lui, al pari di noi, ha dovuto soccombere alla morte e che, per questo, non può sostenere la nostra speranza di una vita che non sia travolta dal male, dalla morte? La nostra vita, la nostra fede raccontano di un Dio che continua a liberare i suoi figli “dai dolori della morte”, che “non li abbandona negli inferi”, come ha fatto con Gesù?
Gesù risorto, prima, lo Spirito Santo, poi, accompagnano i discepoli, messi alla prova nella loro fede e nella loro speranza. Gesù aiuta i discepoli a comprendere la sua morte, a rileggerla, non come la tomba della loro speranza, ma come gesto che lo avrebbe definitivamente rivelato, ben più che come “profeta potente”. Gesù fa questo con la sua parola che “spiega le Scritture” («E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui») e con il gesto dello spezzare il pane, così come lo aveva compiuto alcuni giorni prima, nell’ultima sera trascorsa con i discepoli («Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro»).
La parola e il gesto di Gesù “risuscitano” lo nel cuore dei discepoli («Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?»), lo rivelano ai loro occhi incapaci di riconoscerlo («Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero»).
Lo Spirito Santo fa uscire di casa gli Apostoli, li incoraggia a parlare a una folla, dove qualcuno non era ben disposto ad ascoltarli («Altri invece li deridevano e dicevano: »Si sono ubriacati di vino”», At 1,13), a testimoniare quello che era successo a quell’uomo di nome Gesù, crocifisso alcuni giorni prima, perché aveva osato “farsi Figlio di Dio” (cfr Gv 19,7): Dio non lo aveva sconfessato, ma «lo aveva risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa la tenesse in suo potere», At 2,24).
Da quei giorni Gesù risorto e lo Spirito Santo accompagnano i discepoli nel cammino della loro vita, nel percorso della loro fede, che spesso richiamano il cammino dei due discepoli sulla strada per Emmaus (“col volto triste”), sconfitti nella loro speranza («noi speravamo…». Ci accompagnano per liberarci dai “dolori della morte”, che, in tanti modi appesantiscono il nostro cuore e impediscono ai nostri occhi di riconoscere l’azione liberatrice di Dio nella nostra esistenza e nella storia degli uomini.
Anche in questi giorni, nei quali “i dolori della morte” sono diversi e per tante persone insostenibili, lo Spirito Santo e Gesù risorto ci accompagnano, camminano con noi.
Chiediamo a Dio Padre che, ogni domenica, “giorno memoriale della Pasqua” di Gesù, raduna la i discepoli di suo Figlio che camminano nel mondo, di non lasciarci mancare lo Spirito Santo, perché nell’Eucaristia, che, speriamo, possiamo tornare presto a celebrarla insieme, Gesù ci rivolga la sua parola che “fa ardere i nostri cuori” rattristati e si offra a noi nel pane della sua vita donata per noi, perché lo riconosciamo Risorto, in cammino con noi. Potremo così riprendere il nostro cammino della vita di tutti i giorni, confermati nella nostra speranza in lui.

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