II domenica Tempo Ordinario (16 gennaio 2022)

Di fronte alla diminuzione dei matrimoni e al crescente numero di matrimoni in difficoltà, che si risolvono spesso con una rottura, vien da pensare che le nozze, il matrimonio, non possono più essere considerate una rappresentazione di un’esistenza felice, compiuta e che, per questo, il ricorso del profeta Isaia alla gioia sponsale per illustrare la gioia di Dio nello stringere un’alleanza con il suo popolo («come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te») sembra fuori tempo, datato, un po’ “romantico”, non più proponibile oggi.

Comunque tutti i matrimoni, anche quelli falliti, hanno conosciuto un momento di gioia grande, festosa, nel giorno delle nozze, magari con un banchetto generoso, di cibo e di vino. Quel giorno mostrava l’inizio incoraggiante di un tempo nuovo, pieno di promesse e di attese.

Deve essere stato così anche per quegli sposi che avevano invitato Gesù e sua Madre alla loro festa nuziale, rallegrata con un banchetto e che a quei tempi durava diversi giorni. Un banchetto ben preparato, come succede con tutte le feste di nozze, perché non deludesse le attese di tutti, degli sposi, dei loro familiari e degli invitati.

Nonostante i preparativi quella festa di nozze corre il rischio di terminare anticipatamente per l’esaurimento del vino, bevanda che non può mancare nelle feste, tanto più nelle feste di nozze.

Solo l’intervento di Gesù, sollecitato da sua Madre, impedisce il fallimento della festa, anzi, stando all’elogio rivolto allo sposo da chi dirigeva il banchetto («Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece, hai tenuto da parte il vino buono finora»), la mantiene su alti livelli di eccellenza.

Quanto è successo a Cana di Galilea in quella festa di nozze rappresenta la parabola di cosa succede nei tanti matrimoni che falliscono: la festa gioiosa degli inizi (spesso anche rumorosa e perfino sguaiata) si spegne perché nel cammino del matrimonio viene a mancare il vino di un amore che non si risolve nel semplice sentire, ma che decide ogni giorno di prendersi cura del coniuge, un amore che si fa attento ai dettegli, alle piccole cose, agli atteggiamenti, che sembrano insignificanti, ma che spesso risultano decisivi in un cammino sponsale, un amore che non cattura, ma accoglie, che non prende, ma chiede e offre.

E anche quello che accade nei matrimoni che si interrompono è parabola di quanto accade nella vita, quando, per tante ragioni, viene a mancare il vino buono del senso della propria vita, della speranza che la sostiene, come roccia forte, sicura, del desiderio del bene per sé per gli altri, in modo particolare per chi non ha risorse sufficienti per provvedere in modo dignitoso alla propria persona e alla propria vita.

L’intervento di Gesù che ha salvato la festa di nozze a Cana ha qualcosa da dire a chi sta vivendo con fatica le nozze e teme o pensa che il vino buono dell’amore si stia esaurendo o sia ormai esaurito; ha qualcosa da dire anche a chi pensa che nella propria esistenza non ci sia più un vino buono da gustare.

Prezioso anche per noi resta il suggerimento della Madre di Gesù ai servitori: «Qualunque cosa vi dica, fatela». Proviamo tutti, sposi che vedono esaurirsi il vino del loro amore e chi non ha più vino per fare festa nella propria vita, ma anche chi pensa di avere una sufficiente riserva di vino per il proprio matrimonio, per la propria vita, ad accogliere l’invito della Madre di Gesù: proviamo a fare quello che il Signore ci suggerisce, ci indica, perché accada anche a noi, che, come i servitori portiamo a Gesù l’acqua dei nostri fallimenti, della nostra umanità ferita e sfiduciata, di gustare il vino buono del suo amore che Gesù continua a conservare per noi.

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