«Rendici saldi nella fede». Questa la richiesta che a dieci giorni dall’inizio del cammino quaresimale, abbiamo rivolto, nella preghiera della Colletta, a «Dio, Padre buono, che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio». La richiesta appare giustificata perché anche la fede in Dio, come la fiducia che accordiamo alle persone, non è una decisione presa una volta per sempre, irreversibile. Le circostanza della vita ci sollecitano a decidere se confermare o abbandonare la decisione di credere; soprattutto le circostanze, gli avvenimenti, che mettono alla prova l’affidabilità di Dio, la sua fedeltà alla promessa di prendersi cura di noi.
Questa è la situazione in cui si sono trovati Abramo e i discepoli di Gesù.
Di Abramo parla la prima lettura (Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18). La richiesta di Dio («Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territori di Mòria e offrilo in olocausto, su di un monte che io ti indicherò»), basta da sola per indurre ad abbandonare ogni fiducia nei confronti di Dio. Se poi consideriamo che Isacco, il figlio amato a lungo atteso da Abramo e da Sara, era stato promesso e donato da Dio stesso, comprenderemmo e giustificheremmo l’eventuale rifiuto di Abramo di assecondare la richiesta di Dio.
Abramo, invece, obbedisce. Il testo liturgico non rivela lo stato d’animo di Abramo, né spiega perché Abramo asseconda la devastante richiesta di Dio; lo spiega invece il testo precedente: alla domanda del figlio Isacco («Dov’è l’agnello per l’olocausto?»), Abramo risponde che «Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio» (Gen 22,7-8). Con questa risposta Abramo conferma la propria fiducia in Dio, come scrive l’autore della Lettera agli Ebrei («Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: Mediante Isacco avrai una tua discendenza. Egli pensava che Dio è capace di far risorgere anche dai morti», Eb 11,17-19). Abramo non conosce in anticipo come Dio provvederà alla vittima del sacrificio, sa però che può fidarsi di Lui. Per questo sta salendo sul monte del sacrificio con il figlio Isacco.
Anche i tre discepoli di Gesù, dei quali ci parla il vangelo (Mc 9,2-10) sono messi alla prova nella loro fede in Gesù. Alcuni giorni prima della trasfigurazione di Gesù sul monte, alla presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni, per la prima volta Gesù aveva parlato ai discepoli della sua morte violenta e della sua risurrezione, provocando il rimprovero di Pietro (Mc 8,31-33). E dopo lo scontro verbale con Pietro Gesù aveva dettato le impegnative condizioni per la sua sequela (cfr Mc 8,34-38).
Anche sul monte Pietro e i suoi due amici si trovano in difficoltà. L’evangelista Marco segnala che di fronte alla trasfigurazione di Gesù e alla sua conversazione con Elia e Mosè, i tre discepoli “erano spaventati”, che Pietro non “non sapeva che cosa dire” e che all’ingiunzione di Gesù, mentre scendevano dal monte («Non raccontate ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti»), essi «tennero fra loro le cose, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti».
Ad Abramo Dio riconosce la fede che non è venuta meno e rinnova le sue antiche promesse («Giuro per me stesso… perché tu hai fatto questo… io ti colmerò di benedizioni e renderò numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare»); ai tre discepoli in difficoltà la “voce dal cielo” rivela che quell’uomo che sta andando a Gerusalemme, dove affronterà una morte violenta, che li ha scandalizzati con le sue parole, è suo “Figlio, l’amato” e rivolge l’invito a confermargli la fiducia, a continuare a seguirlo («Ascoltatelo!»).
Abbiamo chiesto al “Padre buono” di confermarci (“rendici saldi”) nella fede, nella nostra decisione di condurre l’esistenza nel mondo dando credito a Lui, Padre affidabile, seguendo Gesù, il “Figlio suo amato” nel suo cammino (“in tutte le sue orme”). Anche se nella nostra esistenza di credenti non ci siamo imbattuti in richieste che, come nella vicenda di Abramo, potrebbero contraddire l’immagine di un Dio affidabile, probabilmente ci siamo trovati spesso nella situazione dei discepoli di Gesù, in difficoltà a seguirlo nel cammino tracciato da lui, che non sempre coincide con il cammino indicato dai nostri desideri, dai nostri progetti, dal modo di “salvare” la vita largamente praticato nel nostro tempo. Quando ci troviamo a vivere questa situazione verifichiamo la “fragilità” della nostra fede, del nostro credito al Signore, che, anche se non si manifesta in un’aperta contestazione del Signore e abbandono della fede, tenta però di “aggiustare” le cose a modo nostro, come ha tentato Pietro sul monte della trasfigurazione, quando ha suggerito a Gesù di accamparsi lì e di non andare a Gerusalemme («Rabbì, è bello per noi restare qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia»).
Nell’intreccio tra interrogativi e risposte dell’apostolo Paolo nel testo della Lettera ai Romani (8,31b-34) proposto dalla seconda lettura («Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?… Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Gesù Cristo è morto, è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi») troviamo le ragioni per non venir meno alla decisione di seguire “le orme” di Gesù e per chiedere a “Dio, Padre buono” di conservarci fermi, saldi, nella nostra fede in Lui.