La luce che rischiara la notte

Tra le feste che ci accompagnano nella vita, quella del Natale riscuote indubbiamente il maggior apprezzamento. Viene preparata a lungo e con cura: dalla pubblicità commerciale impegnata a convincerci che la gioia della festa è assicurata dal prodotto reclamizzato, ai “segni” tipici del Natale, il presepe e l’albero (almeno uno dei due non manca nelle nostre case). Senza escludere per il giorno di Natale o la vigilia i “tradizionali” pranzo o cena.

I credenti, poi, trovano nella liturgia del tempo che prepara alla festa (l’Avvento) e in quella del giorno di Natale, l’invito a disporre il proprio “cuore” (la propria vita) all’incontro con il Figlio di Dio che “è nato per noi”, a gioire perché il Figlio di Dio viene a offrirci l’amore che “salva” l’esistenza dalla presa devastante del male.

Eppure anche la festa del Natale, come le altre feste, religiose e laiche, deve affrontare la “sfida” dell’esistenza “ferita” di un gran numero di persone, colpita dal male (la malattia, gli abusi e violenze, la povertà e precarietà, le relazioni “in frantumi”, l’ingiustizia, la bramosia di pochi che affama i molti…) che impedisce di beneficiare appieno della gioia di una festa, Natale compreso.

Si tratta di una sfida cui non è possibile sottrarsi, tentando, magari, di lasciar perdere, almeno nel giorno della festa, il proprio dolore, oppure scegliendo di non fare festa, perché la sofferenza patita non può essere consolata, perché non è riconoscibile alcun orizzonte di speranza.

E’ possibile “fare festa” a Natale, a motivo della nascita del Figlio di Dio che viene a “consolare” il nostro dolore, a offrire un orizzonte affidabile alla nostra esistenza minacciata e colpita dal male?

Penso che la risposta è offerta da quelle persone che per prime, oltre duemila ani fa, hanno ricevuto la notizia che era “nato un Salvatore”,  “alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2,8).

Non doveva essere una situazione tranquilla quella dei pastori, al buio della notte, di guardia per proteggere il proprio gregge dai ladri e dagli animali predatori. In questa difficile situazione i pastori danno ascolto alle parole di “un angelo del Signore” che li sollecita a superare la comprensibile paura  (“non temete: ecco vi annuncio una grande gioia… oggi, nella città di Davide è nato per voi un Salvatore…”) di fronte a quella luce che li avvolgeva e di cui non conoscevano la provenienza. Decidono di andare vedere quel “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. E dopo quella visita, tornano nel buio della notte, a fare la guardia al loro gregge, non più timorosi, ma pieni di gioia (“glorificando e magnificando Dio per quello che avevano udito e visto”).

Anche noi stiamo vivendo un tempo che spesso appare come il buio della notte che ci costringe a “fare la guardia” alla nostra vita, che sentiamo minacciata da quanto accade nel mondo, attorno a noi o addirittura nella nostra stessa esistenza.

Impariamo dai pastori che non si sono lasciati convincere dalla paura, ma dalla parole dell’angelo e andiamo anche noi come loro a “vedere” questo bambino che “è nato per noi”, questo “figlio che ci è stato dato”, perché anche noi, come i pastori possiamo renderci conto ancora una volta che Dio che non abbandona i propri figli a se stessi, alle tante follie che le cronache di ogni giorno ci segnalano, ma che vuole riscattare la storia degli uomini dal male che avvelena le relazioni tra le persone, tra i popoli, che aggredisce la natura e la costringe a gemere, che oscura il futuro, impoverendolo di speranza.

L’augurio che rivolgo a tutti, soprattutto, a chi ritiene di non poter “fare festa” a Natale, è che riconosciamo in Gesù, il Figlio di Dio che è nato per noi, la possibilità della pace e della speranza per la nostra vita, anche quando è colpita duramente, e per l’umanità, che in questi tempi si trova a patire una notte che mette paura.

+ Franco, Vescovo