La Parola di Dio della VI domenica di Pasqua parla della Chiesa, di una Chiesa in cammino nel mondo (cfr prima Lettura tratta dal libro degli Atti, cap 15, 1-2.22-29 e il vangelo, Gv 14,23-29) e della Chiesa, al compimento del suo cammino (cfr seconda lettura, Ap 21,10.14-22-23).
Il testo degli Atti presenta una Chiesa alle prese con una questione rilevante per la vita stessa della Chiesa (si trattava di decidere se il neonato cristianesimo costituiva una semplice variante del giudaismo o se invece rappresentava una novità). La storia dice che la Chiesa non è limitata a risolvere i propri problemi, ma che si è fatta carico della vita, dei problemi degli uomini e delle donne che vivono nel mondo. Non se ne fa carico da sola, perché, come segnalano il testo degli Atti e le parole di Gesù, nel vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo l’accompagna nella comprensione di quanto Gesù le va dicendo (cfr Vangelo) e nelle decisioni da prendere (cfr prima Lettura).
Lo Spirito non è solo ad accompagnare la Chiesa, ma con Lui ci sono il Padre e il Figlio, i quali, come dice Gesù ai discepoli “prendono dimora presso di noi”. E’ la Trinità quindi che accompagna il cammino della Chiesa. Gesù dice ai discepoli e a noi che la presenza della Trinità è resa possibile dal nostro amore, che nella considerazione del Maestro non è un sentimento vago, ma si esprime nell’ascolto della sua parola e nell’obbedienza allo Spirito. Quella della Trinità non è una presenza passeggera, segnata dalla fretta, ma stabile (Gesù parla di dimorare) e portatrice di buoni frutti, come il ricordo delle parole di Gesù (di cui è promotore lo Spirito Santo) e la pace (donata da Gesù stesso), pace che non è assimilabile a quella che il mondo cerca di garantirci, ma che spesso non è in grado di reggere l’impatto con le fatiche e le prove della vita.
La presenza della Trinità con il suo amore nel nostro cuore e nel cammino della Chiesa, ora è colta e vissuta nella fede, che si esprime nell’ascolto della parola di Gesù e nella docilità allo Spirito Santo. Un giorno questa presenza non avrà più bisogno di luoghi e gesti che la garantiscono, perché, come racconta il testo dell’Apocalisse (nella seconda lettura) “Dio onnipotente” (il Padre) e “l’Agnello” (il Figlio) incontreranno personalmente la Chiesa, i credenti, in una città tutta nuova, splendente di bellezza e di luce.
Ora però la Chiesa cammina nella storia, dove uomini e donne sono messi alla prova da problemi che spesso amareggiano la loro vita e indeboliscono la loro speranza. Tra questi, uno in particolare, il lavoro, che sembra essere diventato un lusso per pochi, la cui mancanza ferisce l’esistenza di tante persone, soprattutto giovani e di tante famiglie. Quella della mancanza di lavoro è una ferita profonda, perché il lavoro garantisce la dignità di una persona e la qualità della nostra vita.
La celebrazione del Giubileo della misericordia da parte delle persone, che a vario titolo vivono e faticano nel mondo del lavoro, vuole ribadire quanto la “Gaudium et Spes” ci ha detto: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze. Le tristezze e le angosce dei discepoli di Gesù, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (n 1).
Vuole anche ricordare che la dignità delle persone chiede a gli operatori della cosa pubblica che operino perché sia garantito a tutti, in particolare ai giovani e chiede ai responsabili che la dignità delle persone non può essere scarificata sull’altare di un mercato senza regole.