Al sepolcro vuoto si recano diverse persone: Maria di Magdala, Simon Pietro e il discepolo amato. Maria, Pietro e il discepolo amato, non si recano semplicemente in un luogo (un sepolcro e, per di più, vuoto), ma vanno da una persona, Gesù, anche se questa sembra ormai sottratta loro definitivamente dalla morte. Non riescono a stare lontano da Gesù, come accade a noi quando viene a mancare una persona cara, una persona che era la ragione della nostra vita.
Cosa possono dire queste persone a noi, che a differenza di loro, sappiamo, con il sapere della fede, che Gesù è risorto, ma che corriamo il rischio di vivere una relazione con lui logorata dalla abitudine, stanca.
Maria di Magdala si reca al sepolcro in un’ora del giorno inopportuna, rischiosa (“quando era ancora buio”), spinta da un amore appassionato per Gesù, che chiama “il mio Signore”. Un amore che qualche giorno prima l’aveva spinta fino ai piedi della croce (cfr Gv 19,25), che ora la trattiene presso il sepolcro di Gesù, anche se vuoto e la spinge a cercarne il corpo.
Quello di Maria è un amore coraggioso, “forte come la morte”, che “non può essere spento” da nulla (cfr Cantico dei Cantici 8,6-7) e che spinge a cercare l’amato del cuore di notte, nella città deserta (cfr Cantico dei Cantici, 3,1-3).
Maria di Magdala ci mostra un aspetto della fede del discepolo, quello di un amore che alimenta una relazione personale con Gesù (“il mio Signore”) e che custodisce la sua presenza anche in situazioni difficili, che sembrano allontanarlo da noi, fino a nasconderlo ai nostri occhi, un amore che non smette di cercarlo.
Simon Pietro va Gesù con lo slancio del suo amore sincero, segnato dalle incomprensioni nei confronti del Maestro (cfr l’episodio di Cesarea di Filippo, Mc 8,31-33), soprattutto dal rinnegamento della relazione che lo legava a Gesù (cfr Mt 26,69-74) e che Gesù aveva onorato con un gesto di fiducia nei suoi confronti, affidandogli il gruppo dei discepoli (Cfr Lc 22,32: “Conferma i tuoi fratelli”).
Pietro è il discepolo che va da Gesù con la propria fragilità, con una fede sincera, ma non sempre all’altezza delle prove della vita.
L’invito che ci proviene da questo discepolo: non lasciarci bloccare nella relazione con il Signore dalle nostre fragilità, dalle nostre paure e dai nostri rinnegamenti.
Il discepolo amato “crede” che Gesù è risorto, ha sconfitto la morte, osservando i segni che ne attentano inequivocabilmente la morte: il sepolcro vuoto, i teli e il sudario che avevano avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro. Quello del discepolo amato è lo sguardo che sa cogliere la presenza viva del Signore, lo riconosce vivente (cfr Ap 1,17), in una situazione che sembra indicare il contrario, segnalarne l’assenza, perché è lo sguardo di chi ama, lo sguardo istruito da un amore che sa entrare nelle situazioni più ingarbugliate e oscure e scorgervi il Signore (cfr l’episodio della pesca miracolosa raccontata da Gv 21,1-14).
Il discepolo amato ci mostra di che cosa è capace l’amore, dove giunge la fede che si lascia guidare dall’amore per il Signore.