Giorno di Natale 2021

Dall’antifona d’ingresso della Messa: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio… e il suo nome sarà: Consigliere mirabile» (Is 9,5).

La nascita di un bambino è considerata una risorsa. Il bambino che viene al mondo si presenta con una precisa qualifica: è figlio, cioè qualcuno a cui è stata data la vita, a cui si è consentito di nascere, di venire al mondo (decisione non sempre scontata in questi tempi), un bambino del quale ci si prenderà cura, perché crescendo sia in grado di riconoscere che la vita è una preziosa risorsa, per questo da condurre con responsabilità.

Il bambino che viene al mondo in una famiglia è una risorsa anche perché diventa un “consigliere” di chi lo ha generato, perché li istruisce sulla verità che sta a fondamento dell’esistenza tra gli umani: se la vita la coltiviamo solo per noi, a esclusiva utilità nostra, dei nostri bisogni, la perdiamo, perché finisce per esaurirsi; se, invece, la condividiamo con altri, la offriamo loro, la vita proseguirà il suo corso e il nostro cuore non sarà più angustiato dalla paura di perderla.

Il bambino cui fa riferimento il profeta Isaia nell’antifona d’ingresso ha un nome, Gesù e una qualifica, è figlio, non nostro, ma di Dio; un figlio “dato alla luce” da una ragazza, Maria di Nazareth e che ha ricevuto come tutti i figli degli uomini un nome, Gesù, da un uomo, Giuseppe di Nazareth, sposo di Maria, che, pur non avendo contribuito alla sua generazione, lo ha cresciuto ed educato come un figlio.

Il Figlio di Dio, dato alla luce da Maria e accompagnato nella sua crescita anche da Giuseppe, è stato, anzitutto, consigliere mirabile per i suoi genitori (cfr l’episodio del suo ritrovamento nel tempio raccontato da Lc 2, 41-52) e continua a esserlo per ciascuno di noi. Consigliere, non solo perché ci offre utili indicazioni per un’esistenza bella, buona e felice, ma anche e soprattutto perché ci dà la possibilità di accedere a quella vita che gli appartiene, come scrive l’evangelista Giovanni nel Prologo del suo vangelo (1,1-18), appena proclamato: «in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». Più avanti specificherà che questa vita che Gesù offre è la sua stessa vita, quella propria dei “figli di Dio”.

Perché questo accadesse, scrive Giovanni, il Figlio di Dio (il Verbo), «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».

Giovanni ci dice che noi accediamo alla vita di Gesù se “lo accogliamo”, se crediamo nel suo nome”. A noi, quindi, la decisione se accogliere Gesù, il Verbo di Dio, «per mezzo del quale tuto è stato fatto», il Figlio di Dio che ha fatto conoscere quel «Dio che nessuno ha mai visto», o se, come rileva Giovanni nel Prologo del suo vangelo, impediamo alla luce della sua vita di risplendere sulle nostre tenebre, se non lo riconosciamo come una “benedizione”, come quel figlio che è nato per noi.

Perché non commettiamo il tragico errore compiuto dal mondo nei confronti del Figlio di Dio, abbiamo chiesto al Padre di metterci nelle condizioni (di sostenere, guidare, la nostra libertà) di condividere la vita divina del suo Figlio «che ha voluto assumere la nostra natura umana».

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