Funerale di don Osvaldo Antonietti (28 settembre 2018)

Nel brano del vangelo appena proclamato (Lc 12,35-40) Gesù suggerisce ai discepoli come attendere la sua seconda venuta: svegli, non distratti, pronti ad accoglierlo. In passo analogo del vangelo di Matteo Gesù è ancora più preciso: «Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone arrivando troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni» (Mt 24,45-47).

Gesù ci invita a vivere la nostra esistenza nell’attesa della sua venuta, la seconda venuta, quella che per noi viene anticipata dalla nostra morte, non da persone distratte e nemmeno prigioniere della paura che paralizza, ma operose, impegnate a procurare ad altri il cibo buono che sostiene la vita.

L’immagine del “servo buono e prudente” che, su mandato del padrone, procura il cibo alle persone di casa, illustra bene il compito del pastore in una comunità parrocchiale: offrire il cibo che nutre la vita delle persone. E il cibo che un pastore è impegnato a offrire è quello della fede, in Dio, Padre di Gesù e nostro, del quale ci si può fidare perché desidera dare cose buone ai suoi figli, è quello della fede in Gesù, il Figlio Risorto, che si prende a cuore dei suoi fratelli, fino a dare la propria vita per loro, fino a restare con loro ogni giorno.

Qual’ è la ricompensa promessa da Gesù ai suoi servi “buoni e prudenti”? L’immagine proposta dal vangelo è suggestiva e rasserenante: «li farà mettere a tavola e passerà a servirli».

Si invertiranno i ruoli: il Risorto che si farà servitore dei suoi servi. Cosa porterà in tavola Gesù, cosa servirà ai suoi servi? E’ Gesù stesso a rivelarlo, in un passaggio della sua preghiera al Padre, nell’ultima sera trascorsa con i suoi discepoli: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me, dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato… perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro« (Gv 17,24.26).

Don Osvaldo ha provvisto molte persone del pane della fede, nel suo lungo ministero sacerdotale, in particolare la comunità di Passo Ripe. Lo ha fatto come servo generoso, come annota in un passaggio del suo testamento spirituale: «Ho cercato di essere un vero testimone di Cristo in tutta la mia vita… Ho cercato di amare Dio, la Chiesa ed i fratelli e per questo ho accettato la chiamata del Signore al Sacerdozio, consacrando e consumando a questo solo ed unico scopo tutta la mia vita».

Il legame tra la comunità di Passo Ripe e don Osvaldo è stato intenso, come quello che si stabilisce tra un genitore e i propri figli ed è rimasto tale anche quando don Osvaldo, per raggiunti limiti di età, ha passato il testimone del servizio attivo.

L’intensità e la solidità della relazione ha una precisa spiegazione: don Osvaldo ha operato perché nascesse la comunità di Passo Ripe. E questo era il suo vanto. La sua è stata un’azione generosa e tenace, come lo sono le azioni di chi ama e di chi appassiona nel servizio. E la comunità ha corrisposto in tanti modi a questo amore, fino a vegliare in preghiera nella notte appena trascorsa davanti alla salma del suo pastore.

Signore ti affidiamo don Osvaldo, generoso e fedele servitore del tuo amore. Ha offerto il pane buono della fede a tante persone. Accoglilo alla mensa del tuo amore e onoralo del tuo servizio. E tu don Osvaldo continua ad accompagnare la nostra chiesa diocesana, la comunità di Passo Ripe, perché non venga mai a mancare il pane della fede e anche perché altri giovani spezzino questo pane ad altre persone come servitori generosi del Signore.

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