Funerale di don Mario Mancini (10 febbraio 2021)

Il destinatario della preghiera di Gesù (Gv 17,24-26), nell’ultima sera che trascorre con i discepoli e i beneficiari di questa preghiera, costituiscono le relazioni importanti nell’esistenza di Gesù.

Il destinatario della propria preghiera è riconosciuto da Gesù come “Padre giusto” (il suo “Abba”, nella lingua materna), dal quale si sente “amato prima della creazione del mondo” e dal quale riconosce di aver ricevuto i “suoi” discepoli («Erano tuoi e tu li hai dati a me», Gv 17,6) e la gloria (l’amore).

I discepoli per i quali prega, Gesù non li considera “servi, ma amici”, ai quali ha comunicato quanto lui aveva saputo dal Padre e aveva fatto conoscere il “nome” del Padre. Proprio quella stessa sera Gesù aveva comunicato ai discepoli che «non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Per questi amici ora Gesù chiede al Padre un sola cosa, che “siano anch’essi con lui, dove si trova lui”, perché possano anche loro conoscere, apprezzare ancora di più “l’amore con il quale lui si è sentito amato dal Padre”.

Don Mario fa parte dei discepoli che Gesù chiama amici, perché anche a lui ha fatto conoscere l’amore del Padre e che desidera avere accanto a sé. Questo don Mario lo ha riconosciuto nel suo testamento spirituale: «Prima di tutto e soprattutto ringrazio il Signore Dio per le grazie che mi ha concesso anche se povera creatura. In particolare lo ringrazio per il dono del sacerdozio».

Questo amore don Mario non l’ha trattenuto per sé, ma lo ha comunicato con un lunghissimo ministero (quasi 69 anni di sacerdozio), quasi interamente svolto a Passo Ripe. Un ministero a servizio non di se stesso, ma del vangelo dell’amore del Padre.

Nel testamento di don Mario riecheggiano le parole dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto («Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io», 1Cor 9,16-19.22-23) e rivelano con quale spirito don Mario ha servito il vangelo di Gesù, dicono il suo stile: «Una sola cosa posso affermare con tranquillità di coscienza, di aver cercato di servire con amore. Ho pianto con chi piangeva, ho gioito con chi gioiva, ho sofferto con chi soffriva».

Don Mario ha iniziato il suo ministero a Ponte Rio in un ambiente a quel tempo ostile, non tanto alla sua persona, ma a quello che lui rappresentava. A questa ostilità non ha risposto con altra ostilità che crea barriere e allontana le persone, ma con un atteggiamento che ha sciolto progressivamente l’iniziale avversione.

La semplicità del suo modo di trattare, l’arguzia delle sue risposte alle provocazioni, ma soprattutto la serena vicinanza alle persone, anche frequentando luoghi dove poteva trovare indifferenza o addirittura rifiuto, hanno procurato a don Mario il rispetto, la stima e, soprattutto, l’affetto dei suoi parrocchiani. Un affetto che lo ha accompagnato anche quando ha passato con grande serenità e libertà il testimone di parroco di una comunità che lui stesso aveva fatto nascere, contribuito a crescere e continuato a servire anche in questi ultimi anni, segnati da tante limitazioni fisiche.

Anche di questo amore don Mario dà testimonianza nel suo testamento: «Ringrazio tutti i parrocchiani che mi sono stati vicini e mi hanno aiutato a formare questa comunità».

Don Mario, ora che sei con Gesù Risorto che ti desidera accanto a sé perché anche tu possa gustare pienamente l’amore del Padre di cui sei stato fedele testimone nel tuo lungo ministero, continua ad accompagnare la comunità di Ponte Rio che hai amato e che ti ha voluto bene, perché sia sempre più consapevole di esser amata dal Signore e perché diventi una comunità sempre più ospitale come è ospitale l’amore del Padre.

Accompagna anche il nostro ministero di pastori di questa chiesa di Senigallia, perché continuiamo ad operare per il Vangelo di Gesù e secondo lo stile del suo Vangelo, mossi da desiderio di “guadagnare” le persone al Signore e perché di fronte alle incomprensioni, alle resistenze che possiamo incontrare, non lasciamo alcun spazio al lamento ea desolate conclusioni, che non solo intristiscono il cuore, ma anche compromettono il ministero e perché continuiamo a ritenere il nostro sacerdozio un dono grande del suo amore.

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