Festa del Patrono San Paolino da Nola (4 maggio 2024)

Diversi testi della liturgia della sesta domenica di Pasqua fanno riferimento all’amore. Dell’amore ne parlano in tanti e diffusamente ogni giorno. Il fatto che se ne parli molto indica che dell’amore abbiamo bisogno per un’esistenza apprezzata da parte nostra e degli altri. Se ne parla in tanti, ma da quello che si dice emerge che non la pensiamo tutti alla stesso modo riguardo all’amore, all’amare.

Una domanda: i discepoli di Gesù, i cristiani, come intendono l’amore, l’amare? La parola di Dio proclamata nell’Eucaristia di questa domenica ci offre la risposta.

L’apostolo Giovanni, nel testo della sua prima Lettera, proclamato nella seconda lettura (1Gv 4,7-10), nel giustificare l’invito ad “amarci gli uni gli altri”, collega l’amore con Dio, riconosciuto come la sorgente stessa dell’amore («perché l’amore è da Dio») e vede nell’amare la possibilità di conoscere Dio stesso («chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio»). L’Apostolo precisa poi come ama Dio, come esprime il suo amore per noi: «ha mandato nel mondo (a noi) il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui». Dalle parole di Giovanni veniamo a sapere che l’amore che Dio esprime nei nostri confronti, non è un vago e passeggero sentimento (Dio non “sente” semplicemente qualcosa per noi, non “sente” di amarci), ma ha a che fare con la decisione di promuovere la nostra vita, di farci vivere, non dona qualcosa (non ci fa dei regali), ma qualcuno, il suo Figlio unigenito, Gesù. Dio non trattiene presso di sé il Figlio, ma lo lascia partire, entrare nel mondo, nella nostra storia prigioniera del male, devastata dai nostri peccati, accetta che lui “immoli” la propria vita, (si offra come una vittima) per togliere di mezzo (“espiare”) i peccati commessi da noi, che feriscono la nostra vita, perché impediscono ogni gesto d’amore.

Quasi a conclusione della riflessione Giovanni dichiara la precedenza dell’amare di Dio sul nostro amare: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi». Come a dire: se noi amiamo, se siamo in grado di amare è perché siamo stati amati, siamo amati da Dio, la sorgente dell’amare.

Gesù, nel vangelo di questa domenica (Gv 15,9-17), risponde alla nostra domanda (i cristiani come intendono l’amore, l’amare?) rivelandoci che il senso dell’esperienza cristiana è “dimorare” nel suo amore, sperimentare la sua gioia, osservare i suoi comandamenti. Non parla semplicemente di amore, di gioia, di comandamenti, ma del suo amore, della sua gioia e dei suoi comandamenti.

Gesù ci ricorda anche che la relazione con lui non è generica, superficiale, ma mostra i tratti di un’amicalità («Non vi chiamo più servi…ma vi ho chiamato amici»), che si esprime in una comunicazione profonda, dove lui ci ama per primo («Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi»),  propizia un’ esistenza “fruttuosa” («vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga») e condivide con noi lo scambio intenso e profondo che lui ha con il Padre («tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi») e dove noi accogliamo il suo comandamento della carità fraterna e lo attuiamo nella nostra esistenza.

L’amore che abbiamo ricevuto da Gesù va rimesso in movimento nella nostra vita, va reso manifesto dal modo con cui entriamo in relazione con gli altri, li apprezziamo, ci prendiamo cura di loro.

L’amore di Gesù deve diventare anche la misura del nostro amore per gli altri: come Gesù, anche noi dobbiamo metterci in gioco senza riserve, dobbiamo imparare a mettere a disposizione la nostra vita, liberarci dalla cura ossessiva di noi stessi, della nostra vita, dalla ricerca esclusiva del nostro bene, che finisce per intorpidire il nostro amare («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»).

Questo amore riusciamo a esprimerlo solo se “rimaniamo” in Gesù, “dimoriamo” nel suo amore, se attingiamo da lui forza e coraggio. “Dimorare” nell’amore di Gesù significa riconoscere che siamo amati, voluti e accettati dal Signore e restare nello spazio del suo amore, obbedienti alla dinamica di questo amore.

Nell’esistenza di S. Paolino ritroviamo i tratti di questo amore, dell’amare da parte di chi si considera discepolo di Gesù, suo amico, amato e preso in cura da lui, di chi non trattiene per sé, ad esclusivo vantaggio personale questo amore, ma lo mette in circolazione con un’esistenza spesa per gli altri, donata, nei diversi fronti, che per S. Paolino sono stati quello civile del governo di una regione dell’Impero romano e quello pastorale della guida di una città.