Epifania del Signore (6 gennaio 2024)

«Conduci benigno anche noi che già ti abbiamo conosciuto per la fede a contemplare la bellezza della tua gloria». Questa la richiesta rivolta a Dio nella preghiera della Colletta, ripresa nella preghiera conclusiva dell’Eucaristia («La tua luce, o Signore, ci preceda sempre e in ogni luogo, perché contempliamo con purezza di fede e gustiamo con fervente amore, il mistero di cui ci hai fatti partecipi»).

Noi, a differenza dei Magi, conosciamo già Gesù, non come il “re dei Giudei”, ma come il Figlio di Dio, che si è fatto uomo, bambino, per liberarci dal male che aggredisce la nostra vita e la consegna irreparabilmente alla morte.

Lo conosciamo così grazie alla fede; eppure avvertiamo ancora il bisogno, oltre che (speriamo) il desiderio di tornare a contemplare “la bellezza della gloria di Dio”, “gustare con fervente amore il mistero” che Lui ci ha fatto conoscere e alla quale ci ha consentito di prender parte.

Avvertiamo il bisogno di tornare a contemplare questo bambino, grazie al quale “la gloria del Signore brilla su di noi” (cfr la prima Lettura, Is 60,1), perché riconosciamo drammaticamente attuali le parole del profeta Isaia proclamate nella prima Lettura («la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli»), perché temiamo che quanto l’apostolo Paolo ha scritto ai cristiani di Efeso («Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo», Ef 3,6), visto come sta procedendo la storia degli uomini, resti nel libro dei sogni.

I Magi stessi ci guidano in questo nostro andare da Gesù nel racconto di Matteo, proposto dal vangelo dell’Epifania (Mt 2,1-12). Questi sapienti dell’Oriente, a differenza dei “capi dei sacerdoti e degli scribi del popolo”, i quali sapevano dalle Scritture che da Betlemme sarebbe uscito un capo, un pastore per il popolo d’Israele, avevano come unica segnalazione e guida solo una stella, nel loro viaggio, che è facile immaginare pieno di incognite e di rischi. Eppure partono alla ricerca del “re dei Giudei”, domandano e lo trovano. Matteo  parla di una loro “una gioia grandissima” alla vista della stella che «si fermò sul luogo dove si trovava il bambino».

L’invito che ci proviene dai Magi è andare anche noi da Gesù, a intraprendere il viaggio che dalle nostre case (che non sono solo le nostre abitazioni, ma è la nostra vita spesso “avvolta dalla nebbia fitta”, se non addirittura dalla tenebra della sofferenza, dell’insicurezza, della mancanza della speranza, dell’aridità e chiusure del cuore, della mediocrità…) ci conduce da Lui.

La “stella” che ci fa da guida nel nostro cammino verso Gesù, come «lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino non si levi nei nostri cuori» (2Pt 1,19), sono le Scritture sante, “lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino” (cfr Sal 118,105), accese «nella notte di questo secolo come lucerne perché non restiamo nelle tenebre” (S. Agostino).

L’evangelista Matteo conclude il suo racconto della visita dei Magi a Gesù annotando che, «avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese». Anche noi siamo invitati a tornare alla nostra vita quotidiana percorrendo “altre strade”, diverse da quelle percorse fino ad ora, le strade della giustizia, dell’impegno per la pace, delle relazioni ospitali e solidali, della responsabilità per il bene di tutti (come ci sta richiamando con insistenza papa Francesco).

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