Epifania del Signore (6 gennaio 2021)

La solennità dell’Epifania ci ricorda che la destinazione della nascita del Figlio di Dio, uomo tra gli uomini, non è solo il piccolo popolo d’Israele, nemmeno un gruppo particolare di credenti, ma l’intera umanità, le genti (frequentemente nominate nei testi della liturgia dell’Epifania). Il Figlio di Dio, nato da Maria è destinato a tutti, è per tutti. Lo attesta chiaramente l’apostolo Paolo nella seconda lettura della Messa (Ef 3,2-3a.5-6), dove scrive che «le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo».
Paolo ci dice che tutte le genti, tutte le persone che hanno vissuto, vivono e vivranno in questo mondo, le persone di ogni razza, cultura e religione, sono destinate (“chiamate”) a beneficiare della stessa promessa (“partecipi della stessa promessa”) che Dio ha fatto ancor “prima della creazione del mondo”, la promessa che il Figlio di Dio, nato uomo fra gli uomini, ci ha fatto conoscere con il vangelo (la “lieta notizia”) della sua vita, avviata sulla terra in modo scioccante e che è stata “affidata al ministero” di Paolo, la promessa che Dio si sarebbe preso cura di tutte le genti, come suoi figli.
La modalità scelta da Dio per far conoscere e realizzare il suo progetto ci sorprende. Anzitutto ci sorprende il fatto che Dio s’impegna di persona alla realizzazione del progetto: è il Figlio che da sempre vive con lui a “venire” tra gli uomini, tra le genti, per parlare dell’intenzione del Padre, di portare a compimento il suo disegno a favore delle genti. Questo è quanto ricordiamo ogni anno nelle celebrazioni dell’anno liturgico che ci fanno percorrere le tappe (i misteri) della vita di Gesù.
Sorprende, e non poco, anche il modo cui Dio realizza il suo progetto: non fa ricorso a gesti che attirano l’attenzione, che colpiscono per la loro spettacolarità e convincono immediatamente per il loro fascino. Basta considerare i due fatti nei quali si svolge l’esistenza del Figlio di Dio sulla terra: la sua nascita, avvenuta in campagna, in un luogo dove trovano rifugio gli animali, nell’anonimato e la sua morte in un luogo, la croce, che la rende “scandalosa” agli occhi di tutti, perché contraddice proprio quello che Gesù rivendicava, il suo essere Figlio di Dio.
I vangeli ci raccontano che, però, qualcuno si è lasciato coinvolgere da questo modo di agire di Dio.
Il vangelo di Luca, proclamato a Natale (cfr Lc 2,1-20) ci ha parlato di alcuni pastori che hanno intrapreso un cammino che li ha condotti fino al luogo dove era venuto al mondo il Figlio di Dio, un cammino che non è stato solo uno spostamento fisico, dalla campagna dove stavano pernottando con il loro gregge, a quel rifugio per animali, dove trovano un “bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” e del quale aveva parlato bene l’angelo, che li aveva sorpresi impauriti (“oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”), ma anche il passaggio dalla paura iniziale di fronte all’angelo, alla gioia, alla lode, dopo aver fatto visita al bambino.
Il vangelo di Matteo, proclamato nel giorno dell’Epifania (Mt 2,1-12), parla di “alcuni Magi che vennero da oriente a Gerusalemme”, per scoprire “dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?”. A spingerli ad intraprendere un cammino ben più lungo e impegnativo di quello dei pastori, è stata una stella, da loro intravista nel cielo d’oriente. Anche il cammino dei Magi non è solo uno spostamento geografico (dall’oriente a Gerusalemme e a Betlemme), ma il percorso che li conduce a “provare una grandissima gioia”.
Emergono delle analogie tra il cammino dei pastori e quello dei Magi: sono provocati da qualcuno (l’angelo per i pastori) e da qualcosa (la stella per i Magi) che non provengono dalla terra (il luogo dove si svolge la vita degli uomini), ma da altrove, dal “cielo”, da dove noi spesso alziamo lo sguardo in cerca di bellezze da ammirare e di risposte da ricevere.
In entrambi i racconti si fa riferimento alla luce: i pastori sono “avvolti dalla luce della gloria del Signore” (cfr Lc 2,9), i Magi sono attratti dalla luce di una stella («Abbiamo visto spuntare la sua stella», Mt 2,2). Entrambi i cammini, inoltre, avvengono perché i pastori e i Magi prestano ascolto, a una parola, esplicita quella dell’angelo, allusiva quella della stella.
Infine una terza analogia è data dalla gioia che i pastori e Magi provano grazie a quel bambino, “avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”, non più sconosciuto, ma riconosciuto nella sua reale identità.
L’esperienza dei pastori e dei Magi ci ricorda che la fede rappresenta una luce preziosa per la nostra vita, una luce che proviene da altrove, da altri, che brilla e che ci accompagna nel percorso della vita quotidiana, spesso avvolta dalle tenebre delle nostre paure, delle nostre confusioni, presunzioni e sconfitte…, alla ricerca di qualcosa e di qualcuno su cui poter contare, senza il timore di restare delusi. Questa luce ci conduce da colui al quale il Creatore del mondo e il datore di vita delle genti, ha chiesto di rivelarci il suo originario disegno di assicurarne l’attuazione a nostro favore.
I pastori e i Magi ci sollecitano a non tenere il nostro sguardo fisso sulla terra, su quello che accade nella nostra vita, sulla presunzione che continuiamo ad avere di saper provvedere da soli alla nostra esistenza, sul fascino che un’esistenza piena di tanti beni, ripiegata su se stessa, continua a esercitare su di noi, ma ad alzare lo sguardo verso colui che, come ai semplici pastori e ai raffinati Magi, può offrire pure a noi non solo una gioia grande, ma anche duratura.

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