Domenica delle Palme (24 marzo 2024)

La preghiera della Colletta ci ricorda che Dio Padre ha offerto agli uomini come “modello di vita” il “Cristo suo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce”. I testi della parola di Dio proclamati nella celebrazione  eucaristica precisano ulteriormente i tratti di  questo “modello di vita” che è il Figlio di Dio, “umiliato fino alla morte di croce”.

Il profeta Isaia nella prima lettura (Is 50,4-7) evidenzia l’atteggiamento della resa a chi sta usando violenza («Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi»). L’apostolo Paolo, nella seconda lettura (Fil 2,6-11), illustra il percorso di “svuotamento” di sé da parte di Gesù Cristo, una specie di “caduta libera” verso l’abisso: dalla “condizione di Dio” che originariamente gli appartiene, fino alla condivisione con gli uomini della “condizione di servo” e all’obbedienza “fino alla morte e a una morte di croce”.

Il racconto di Marco nel vangelo (14,1-15,47) parla di Gesù che si lascia consegnare ai capi dei sacerdoti da un suo discepolo (Giuda); che si consegna lui stesso ai discepoli come “corpo offerto” e “sangue versato”; che si lascia mettere le mani addosso e arrestare” da “una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani”; che si lascia “deridere, percuotere il capo, su cui era stata posta una corona di spine, sputare addosso” dai soldati”; che  si lascia sbeffeggiare e sfidare dai capi dei sacerdoti con gli scribi”; che, infine, si lascia seppellire in un sepolcro, come accade per ogni defunto.

Nella Colletta facciamo a Dio onnipotente una richiesta inusuale, al limite dell’accettazione, “fa che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua (di Gesù) passione”. A confermare la difficoltà a condividere, seguire, il “grande insegnamento” della passione di Gesù, è anzitutto la nostra paura di perdere la vita; c’è poi un mondo, una cultura che sponsorizza come vincenti altri modelli di vita, quelli di persone che hanno tanto seguito, ascolto, successo. Modelli che continuano a esercitare tanto fascino su molte persone, anche se osservatori acuti della realtà parlano di “un mondo sazio e infelice” e le cronache quotidiane riferiscono di acute sofferenze interiori, stati depressivi nella vita di un numero sempre più crescente di persone.

Come non cedere alla tentazione di considerare il modello di Gesù Cristo impraticabile per la nostra vita, inadatto al nostro desiderio di vita?

È ancora la parola di Dio della Messa a sciogliere le nostre paure, ad accompagnarci nell’ascolto della fede che riconosce che la strada percorsa da Gesù Cristo porta alla vita.

Nel testo del profeta Isaia l’anonima persona di cui parla il profeta trova nella fiducia in Dio la ragione per non vergognarsi per quanto sta subendo («Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato») e per non soccombere alla violenza subita («Per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo che non resto confuso»).

L’apostolo Paolo rivela che il percorso di Gesù, il Figlio di Dio, che a prima vista sembra portare all’annientamento di se stesso, in realtà conduce all’apprezzamento da parte di Dio («Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome») e all’universale riconoscimento («nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”»).

Il vangelo parla di due persone – una donna e il centurione romano – che, primi di ogni altro, discepoli compresi, riconoscono il valore della scelta di Gesù: l’amore della donna che non si risparmia (per Gesù «Ella ha fatto ciò che era in suo potere») e che accompagna Gesù nella solitudine del sepolcro («Ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura»); il riconoscimento di un pagano che comprende che la morte in croce di chi chiamava Dio suo Padre, non era, come pensavano i capi del popolo, inequivocabile smentita della pretesa di Gesù, ma la conferma di chi era veramente («Davvero quest’uomo era Figlio di Dio»).

Che il Padre di Gesù ci guidi ad accogliere Gesù come modello per la nostra vita, con l’amore della donna di Betania e con la a fede del centurione romano, ai piedi della croce.

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