Domenica delle Palme (14 aprile 2019)

All’inizio della celebrazione ci è stato rivolto l’invito ad accompagnare Gesù nel suo ingresso in Gerusalemme, la città santa e di chiedere la grazia di seguirlo fino alla croce per poter partecipare alla sua risurrezione.

Ci chiediamo cosa significa, cosa comporta, seguire Gesù fino alla croce e prendere parte alla sua risurrezione?

C’è una persona nel racconto della passione di Gesù fatto dell’evangelista Luca che può rispondere alla nostra domanda, uno dei malfattori crocifissi con Gesù, quello che noi chiamiamo il “buon ladrone”.

Guardiamo da vicino il malfattore che si rivolge a Gesù. Anzitutto si rivolge a Gesù, non con gli appellativi usati dai discepoli (Signore, Maestro), ma in tono molto confidenziale (Gesù).

Il fatto di es­sere un malfattore fa pensare a un uomo che era vissuto ai margini della lega­lità, conoscendo solo la legge del più forte, che ora si trova a dover soccom­bere a chi è più forte di lui. Un uomo che non ha mai incontrato l’amicizia, ma solo la complicità.

In questa situazione che poteva determinare in lui risentimento contro chi l’aveva ridotto così male, vede Gesù che soffre con mansuetudine, che non reagi­sce agli insulti con altri insulti; scopre che non esiste solo la violenza, ma anche un tipo di uomo nuovo, che non adotta la logica della forza, non ragiona solo in termini di contrapposizione violenta, di vendetta.

Questa scoperta lo aiuta a vedere le cose in modo nuovo, a ritrovare l’onestà, la giustizia, nelle persone (Rimprovera l’altro malfattore che imprecava contro Gesù: «Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male»); suscita in lui un bisogno di amicizia, di prossimità, con quest’uomo, che sta soffrendo con lui, anche se non ha vissuto come lui («Gesù ricordati di me»).

Dalla scoperta che rimette in gioco la sua uma­nità, che lo fa accostare amichevolmente, con fiducia, a Gesù, quest’uomo scopre che nell’uomo crocifisso che gli è accanto si manifesta in qualche modo la po­tenza di Dio, si rivela un modo di vivere diverso da quello che lui ha conosciuto e praticato, dove non si parla il linguaggio della sopraffazione, della violenza, del so­spetto e della complicità, ma della fiducia, dell’accoglienza amichevole.

L’avvicinarsi a Gesù in quel modo aiuta il malfattore a rifare il tessuto di relazioni della sua vita, alimentate dalla fedeltà, dalla solidarietà, dalla fiducia.

La richiesta («Ricordati di me!»). Quest’uomo intuisce che nel regno in cui Gesù sta per entrare c’è spazio per il ricordo e il perdono. E questo perché ascolta e apprezza il perdono invocato da Gesù sui suoi carnefici che non sanno (non vogliono sapere) quello che fanno.

Questo malfattore ci ricorda che è decisivo l’atteggiamento con cui stiamo di fronte a Gesù Cristo crocifisso.

L’altro malfattore non “ascolta” il Crocifisso, ma solo il proprio cuore, pieno di rabbia, in balia del risentimento, non è in grado di valutare ciò che è giusto e ciò che non lo è, sa parlare solo il linguaggio della violenza e della complicità. Il suo modo di vedere le cose, trattare le persone resta l’insindacabile punto di vista da cui valutare tutto.

Il ladrone buono non valuta le parole e l’atteggiamento del Crocifisso a partire dalle consuetudini del proprio cuore, ma si lascia raggiungere dalla parola di Gesù, inedita e sorprendente per quello che comunica e per le circostanze in cui è pronunciata. Per questo il suo cuore cambia e si apre alla prospettiva di un futuro che non è più di morte, ma abitato dalla vita.

Quest’uomo c’invita a “volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 12,32) per dar vita a un incontro nel quale ci lasciamo attrarre dal Signore in un cammino di conversione del nostro cuore, perché si lasci sorprendere da questo Dio che si prende cura di me, della mia vita e che apre alla mia esistenza orizzonti di speranza, di vita.