Corpus Domini – 20 giugno 2019

“Dio Padre buono…donaci il tuo Spirito, perché nella partecipazione al sommo bene di tutta la Chiesa, la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie…”. Il “sommo bene di tutta la Chiesa”, cui la nostra richiesta al Padre buono fa riferimento, è il “sacramento pasquale del Corpo e Sangue del suo Figlio”, è l’Eucaristia.

Nella preghiera riconosciamo che l’Eucaristia è il nostro “sommo bene”, il bene più prezioso che possediamo, perché è il “sacramento” della Pasqua di Gesù, della sua vita donata, offerta per noi.

Il nostro “sommo bene”, quindi, non è una cosa, ma una persona, Gesù che ha dato la sua vita per noi e che nella celebrazione dell’Eucaristia – nella Messa – rinnova la sua offerta (per l’autore della Lettera agli Ebrei “continua a intercedere per noi”).

A questo punto ci chiediamo: considero anch’io l’Eucaristia il “sommo bene”, il tesoro più prezioso per la mia vita? La mia partecipazione alla celebrazione dell’Eucaristia è motivata e sostenuta da questo apprezzamento, dalla consapevolezza che, come scrive l’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto, “ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo questo calice, noi annunciamo la morte del Signore, finché egli venga”(1Cor 1,26) e che “nel sacramento del Corpo e Sangue di Gesù pregustiamo la sua vita divina” (dalla preghiera dopo la comunione della Messa del Corpus Domini)

Nella preghiera abbiamo chiesto, inoltre, al “Padre buono” lo Spirito Santo proprio in riferimento alla partecipazione a questo “sommo bene”, che è l’Eucaristia, perché “la nostra vita diventi un continuo rendimento di grazie”.

Il vocabolo “Eucaristia” è la traduzione nella lingua italiana di un vocabolo greco che significa proprio “rendimento di grazie”, ringraziamento. La Chiesa celebra l’Eucaristia, la Pasqua di Gesù, per rendere grazie, per dire al Padre buono il suo grazie pieno di riconoscenza, per Gesù, per il dono che Gesù fa della sua vita, non solo per i suoi amici, ma per tutti gli uomini.

Il rendimento di grazie della Chiesa non si esaurisce in una celebrazione partecipata con consapevolezza e ben curata, perché prosegue nella vita di coloro che prendono parte alla celebrazione della Pasqua di Gesù, (“la nostra vita diventi un continuo (ininterrotto) rendimento di grazie”).

Come può la nostra esistenza diventare un continuo rendimento di grazie? Cosa fare perché questo accada?

L’evangelista Luca, nel racconto della moltiplicazione dei pani (9,11b-17) proposto dal vangelo di questa celebrazione, segnala l’invito di Gesù rivolto ai discepoli perché procurino il cibo per la folla affamata, che aveva ascoltato la sua parola per l’intera giornata (“Voi stessi date loro da mangiare”) e registra l’ammissione da parte dei discepoli di non essere in grado di provvedere alla fame della gente (“non abbiamo che cinque pani e due pesci”). Gesù prende l’iniziativa di pronunciare la benedizione su i cinque pani e i due pesci e, dopo averli spezzati, “li dava ai discepoli perché li distribuissero alle folle”.

Il racconto si conclude con la segnalazione che “tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste”.

Quella richiesta fatta ai discepoli allora, oggi la rivolge a noi, “Voi stessi date loro da mangiare”, alle persone affamate di cibo, di amore, di giustizia, di speranza e di una vita che valga la pena di essere vissuta. Anche noi, come i discepoli di allora, riconosciamo le scarse risorse di cui disponiamo per provvedere alla fame delle persone.

E anche oggi Gesù prende l’iniziativa di spezzare il pane del suo amore, della sua vita donata per tutti, perché i cinque pani e i due pesci di cui disponiamo possano sfamare le persone che incrociamo nella vita. E anche a noi, oggi, Gesù dà il pane del suo amore perché lo distribuiamo alle folle.

La nostra esistenza prolungherà il “rendimento di grazie” avviato nella celebrazione dell’Eucaristia ogni volta che spezzeremo il pane dell’amore del Figlio di Dio con le persone, nelle nostre case, nelle nostre comunità, nei luoghi di lavoro, di incontro, di svago e di sofferenza, soprattutto con quelle persone che presenteranno le richieste della “fame”, di cibo, di accoglienza, di ascolto, di condivisione, di giustizia.

Questa sera, al termine della celebrazione, non faremo subito ritorno alle nostre case, perché cammineremo per alcune vie della nostra città, non da soli, ma con il Signore, portando il Signore e lasciandoci portare da Lui; cammineremo non preoccupati tanto di sventolare i simboli della nostra identità di discepoli di Gesù, ma desiderosi di testimoniare alle persone che abitano questa città, che Gesù, il Figlio di Dio che offre la sua vita per tutti, perché nessuno è escluso dal suo amore, può rappresentare anche per loro, come lo è per noi, “un sommo bene”, un tesoro prezioso per la loro vita, un pane che sazia oltre misura la loro fame, consapevoli anche che il nostro camminare con il Santissimo per le vie della città, rimarrebbe un gesto vuoto, inefficace, se nella nostra esistenza quotidiana restassimo estranei alle persone, distratti dai nostri interessi e prigionieri delle nostre paure.

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